Sette a Tebe | Un’opera rap pacifista

Ascoltami

Sinossi

Sette a Tebe è un’opera rap che rilegge in chiave contemporanea la tragedia greca Sette contro Tebe. La scena si apre con il destino già scritto: sette eroi, sette porte, una città da difendere e una guerra fratricida che avanza.

Le Moire tessono i fili, ma l’esito non è più scontato. In questo intreccio di rap e teatro, si ascoltano le storie di chi ha combattuto per la gloria e ne ha pagato il prezzo. Inizia così un viaggio che scardina il racconto tradizionale, dando voce ai morti, agli esclusi e ai sopravvissuti: Capanèo, Anfiarào, Menoèceo, le madri, le mogli, i padri e le nonne prendono la parola in brani che alternano denuncia e tenerezza, sarcasmo e dolore. Ma qualcosa cambia. Il coro, invece di limitarsi a commentare, si ribella all’autore, rifiutando il ruolo di testimone passivo. La Ragazza — inizialmente ignota spettatrice — si rivela essere Antìgone, colei che sceglie la pietà al posto della vendetta, si alza e raccoglie i corpi dei fratelli.

Con forza poetica e musicale, l’opera ribalta il concetto greco di destino come ordine immutabile, aprendo alla possibilità di un cambiamento voluto, scelto, costruito da chi ha il coraggio di opporsi all’ineluttabile. La scena finale, La pietà contro destino, unisce tutti i personaggi in un coro di speranza, con Antìgone al centro: il futuro è una scelta, e la pietà può ancora salvarci. Il finale rovescia la tragedia: non è il fato a guidare, ma chi trova il coraggio di spezzare il ciclo. Persino Èschilo, personaggio e autore, viene messo in discussione dal coro — ma il suo silenzio, la sua apparente esitazione, rivelano una regia sottile. Èschilo ha condotto l’opera verso questo punto, fingendo di esserne trasportato, per lasciare che fossero gli altri a scegliere. L’opera non dà risposte, ma offre a ciascuno la possibilità di trovarne una.

Contenuto

  1. Ascoltami
    1. Sinossi
  2. Contenuto
    1. Prologo
      1. I Sette Destini
      2. Èschilo e l’Introduzione alla Tragedia
    2. Storie degli Eroi
      1. La Profezia di Menoèceo
      2. Le Spade di Legno
      3. La Scelta di Menoèceo
      4. Il Peso della Gloria
      5. Sei cenere, sei niente…
      6. L’arroganza di Capanèo
      7. Anime Perdute
      8. La gloria è una bugia
      9. Il Volto della Gloria
      10. Ritratto di un Vecchio Zimbello
      11. La Gloria non Consola
      12. La Violenza Genera Violenza
      13. Se uccido chi sarò?
      14. La Lezione della Vendetta
      15. Rimpianti e Futuro
    3. Conflitto Fratricida
      1. Le Ferite della Guerra
      2. Maledetti dal Destino
    4. La Ribellione e la Verità
      1. La Ribellione del Coro
      2. La verità di Èschilo
      3. Ascolta il nostro sospiro
      4. La Pietà contro Destino – Finale
    5. Chi Guida Chi?
      1. La scelta e l’ombra
    6. Canzoni
    7. Personaggi
    8. La tragedia antica e il grido moderno contro la guerra
  3. Contattami

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I Sette Destini

(Canzone)

Le tre Moire portano con sé i loro oggetti simbolici: il fuso, il gomitolo rosso e le forbici.

Moira con il fuso

Io tesso il filo, intreccio le vite,
ogni passo deciso, ma le scelte tradite.
Sette mura si alzano, sette destini,
ogni porta nasconde confini vicini.

Sette volte Eteòcle sul trono che brilla,
Polinìce marcia, il rancore si sigilla.
Fratelli divisi, una guerra fratricida,
un filo intrecciato, e la fine si annida.

Tutte e tre le Moire

Sempre quello, il destino che chiama,
un filo che scorre, una vita che sfuma.
Sempre quello, un ciclo che inizia,
il tempo si chiude, nessuna giustizia.

Moira con il gomitolo rosso

Io avvolgo il filo, lo tengo stretto,
ogni nodo è un giuramento che aspetta l’effetto.
Adràsto giura, Capanèo ride,
Tidèo freme, ma il destino decide.

Partenopèo è giovane, sogna la gloria,
Anfiarào la vede, e non scappa la storia.
Sette guerrieri contro mura serrate,
ogni promessa è un’anima spezzata.

Tutte e tre le Moire

Sempre quello, il destino si stringe,
il nodo si forma, la lama lo incide.
Sempre quello, il filo che avanza,
il cerchio si chiude, la storia si danza.

Moira con le forbici

Io taglio il filo, il momento è segnato,
il destino si chiude, ogni passo è tracciato.
Le sette mura resistono, il sangue si sparge,
la gloria svanisce, e la tragedia si allarga.

Chi resta piange, chi muore tace,
il fato non consola, non dona pace.
Sette porte si chiudono, spettatori attenti,
il filo vi avvolge, siete i nostri strumenti.

Tutte e tre le Moire

Sempre quello, la lama che taglia,
un filo che cade, una vita che smaglia.
Sempre quello, il destino che spezza,
la fine si compie, nessuno l’apprezza.

Ripetuto due volte. Le Moire intrecciano movimenti teatrali sempre più ampi. Alla fine, la Moira con il gomitolo lo lancia sul palco, srotolandolo. Le luci si abbassano, lasciando solo il gomitolo illuminato.

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Èschilo e l’Introduzione alla Tragedia

(Dialogo)

Èschilo introduce la Ragazza al destino dei sette eroi, preparando il terreno per la tragedia imminente.

Sul fondale sono proiettate le ombre di Eteòcle e del Messaggero, che recitano il testo originale di I Sette contro Tebe.

Messaggero

I sette capi sono schierati alle porte, o re,
ognuno giura di abbattere la città
o di morire, pagando con la propria vita.
Fiammeggiano gli scudi, si alzano le spade,
gli dèi stessi osservano questo giorno.

Eteòcle

Allora anche noi saremo pronti!
A ogni porta un difensore valoroso,
che combatta per Tebe, per la nostra gloria.
Che il destino si compia, come è stato scritto!

Le voci sfumano, mentre la luce si concentra su Èschilo. La proiezione si dissolve gradualmente.

Èschilo
Rivolto al pubblico, con tono riflessivo

Ecco, così si parlava allora, con parole pesanti come pietre, parole che cercavano di riempire il vuoto della paura. Gloria, destino, dovere.
Ma chi ha davvero pagato il prezzo di queste parole?

Si ferma, osservando la Ragazza, che lo guarda con curiosità.

Ragazza
Incerta, rivolgendosi a Èschilo

Chi sono quei due? Perché li ascoltiamo? Sembrano così lontani da noi.

Èschilo
(con un sorriso amaro)

Lontani? Forse. Ma le loro voci risuonano ancora. Sono voci di uomini che hanno giocato col destino, che hanno creduto di poterlo dominare. E ora tocca a noi ricordare, perché quella guerra non è mai davvero finita.

Pausa. Si volta verso il pubblico.

Li avete sentiti, vero? Sette porte, sette eroi, sette giuramenti. Ognuno certo di essere nel giusto, ognuno pronto a morire per una causa più grande.
Ma chi resta, chi sopravvive, porta il peso delle loro scelte.

Il coro entra lentamente, vestito di rosso, come ombre sullo sfondo. Cantano sommessamente, quasi come un’eco: Sette porte, sette giuramenti, sette destini.

Èschilo
Continuando, rivolto alla Ragazza.

E tu, giovane donna, cosa pensi di tutto questo? Sei qui per ascoltare, ma anche per imparare. Perché la storia che racconteremo oggi non è solo mia.
È anche tua.

La Ragazza lo guarda con sorpresa, ma non risponde. Èschilo si rivolge di nuovo al pubblico.

Èschilo
Solenne, indicando lo spazio vuoto attorno a sé.

Guardate e ascoltate.
Questa non è solo la storia di Tebe, ma di ogni città, di ogni guerra, di ogni destino. Sette eroi contro sette porte, e il fato che osserva, in silenzio, pronto a colpire.

Le luci si abbassano lentamente. Il primo coro inizia a emergere dal silenzio.

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Storie degli Eroi

La Profezia di Menoèceo

(Coro)

Il coro narra il sacrificio di Menoèceo, sottolineando il prezzo pagato per la salvezza di Tebe.

Coro

In Tebe nacque un fiore, un bimbo senza malizia,
Menoèceo era il nome, sorriso di letizia.
Tra i campi correva leggero, sotto il cielo sereno,
con spade fatte di legno, sognava un mondo pieno.

Il destino osserva in silenzio, trama fili invisibili,
sull’innocenza posa l’ombra di giorni terribili.
Un giovane cuore puro, ignaro della sorte,
sarà chiamato un giorno a sfidare anche la morte.

Ascoltate ora il canto, di chi lo amò davvero,
la voce di una nonna, il suo dolore sincero.
Le lacrime narrano storie che il tempo non può spegnere,
ascoltate ora il pianto che non può più tacere.

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Le Spade di Legno

(Canzone)

La nonna di Menoèceo ricorda il nipote da bambino, riflettendo con dolore sul suo sacrificio inevitabile. La scena si apre con un fascio di luce su una figura anziana, la nonna di Menoèceo, seduta su una sedia al centro del palco. Indossa una tunica nera semplice, le mani tremano mentre stringono una piccola spada di legno, simbolo dei giochi del nipote. Le ombre fluttuano sullo sfondo, evocando i ricordi del passato. In disparte, quasi invisibile al pubblico all’inizio, appare il Fantasma di Menoèceo, vestito con una tuta bianca e un velo sul volto. Si avvicina lentamente alla nonna, allungando le mani come per toccarla, ma lei non reagisce. La musica parte con un beat lento e malinconico. La voce della nonna si alza, carica di emozione.

Nonna di Menoèceo

Lo ricordo bambino, con spade di legno,
Correva nel cortile, seguendo il suo disegno.
Giocava alla guerra, con un sorriso fiero,
Ma chi avrebbe detto che il gioco era vero?

Faceva le smorfie, si nascondeva tra i rami,
Gridava “Io sono un eroe!”, con i suoi amici lontani.
Ma il tempo scorre, e il gioco diventa duro,
Lo hanno chiamato destino, io lo chiamo futuro.

Si alza lentamente, camminando sul palco con gesti lenti e misurati. La musica cresce leggermente in intensità, aggiungendo un ritmo più incalzante. Il fantasma di Menoèceo la segue, allungando le braccia, come per sfiorarla.

Gli dèi hanno parlato, ma io non sento,
Hanno preso il tuo cuore e lasciato tormento.
Il tuo nome inciso, la storia ti chiama,
Ma la gloria è fredda, è solo condanna.

Era giusto un ragazzo, con il mondo negli occhi,
Ma la guerra lo ha preso, il futuro lo ha scosso.
Gli hanno detto “Sei l’eletto, il prescelto degli dèi”,
Ma io ho perso mio nipote, e non capisco perché.

Il fantasma si muove più freneticamente, cercando di toccarle il viso, le spalle, ma le sue mani sembrano attraversarla. La sua frustrazione cresce. La voce della nonna si spezza per un istante. La musica si abbassa, lasciando spazio a un momento di silenzio. Poi, riprende con un crescendo emotivo.
Con rabbia e dolore.

Le spade di legno erano il tuo gioco,
La guerra il tuo addio, un destino di fuoco.
I bambini dovrebbero correre, liberi tra i giochi,
Non essere pedine di destini ciechi e strozzati.

Gli dèi hanno parlato, ma io non sento,
Hanno preso il tuo cuore e lasciato tormento.
Il tuo nome inciso, la storia ti chiama,
Ma la gloria è fredda, è solo condanna.

Il fantasma si inginocchia accanto a lei, con le mani che tentano di afferrare quelle della nonna, ma senza successo. La luce su di lui sembra pulsare, accentuando il suo dolore.

Il tuo sacrificio… vive… ma non consola…

Che importa se Tebe respira? Io vivo nel tormento,
Ogni pensiero su di lui è un vento che mi dà sgomento.
Lo ricordo piccolo, con il sorriso sereno,
Ora è cenere e polvere, dissolto nel suo credo.

Il tuo sacrificio vive, ma non dà pace,
Non consola chi ti ha amato, chi ti ha stretto tra le braccia.
La tua memoria pesa, è un nome inciso,
Ma per me sei quel bambino che il tempo ha diviso.

La musica raggiunge il climax emotivo, con un beat più forte. La nonna si ferma al centro del palco, il volto segnato da lacrime silenziose. Il fantasma la abbraccia dolente da dietro, come se implorasse un segno, ma la nonna continua a ignorarlo, persa nel suo dolore.

Gli dèi hanno parlato, ma io non sento,
Hanno preso il tuo cuore e lasciato tormento.
Il tuo nome inciso, la storia ti chiama,
Ma la gloria è fredda, è solo condanna.

Le spade di legno… il tuo gioco spezzato…

La scena si chiude lentamente mentre la luce si affievolisce, lasciando la nonna da sola nella penombra, con il suono di una spada di legno che cade a terra. Il pubblico resta immerso nel silenzio, rotto solo dal battito del cuore evocato dalla musica.

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La Scelta di Menoèceo

(Dialogo)

Èschilo spiega alla Ragazza la necessità del sacrificio di Menoèceo, mentre lei inizia a dubitare del senso di tali scelte. La scena si apre con una luce soffusa che illumina il palco. Èschilo è in piedi su un lato, mentre la Ragazza, visibilmente scossa, è seduta su uno sgabello al centro. L’atmosfera è carica di tensione, con un leggero sottofondo musicale che ricorda un battito cardiaco lento e profondo.

Ragazza
Rivolta a Èschilo, con tono indignato e incredulo.

È così che Tebe vive? Chiedendo il sangue dei giovani, strappandoli alle loro famiglie?
Chi ha deciso che Menoèceo dovesse morire? Chi ha il diritto di parlare a nome degli dèi?

Èschilo
Con tono grave, avvicinandosi lentamente alla Ragazza.

Non gli dèi, ma la profezia.
Era scritto: Un figlio di Tebe, puro e senza macchia, dovrà dare la sua vita per spezzare l’assedio.
Menoèceo lo sapeva, l’ha accettato. Non con la paura, ma con il cuore colmo di fede.

Si ferma, osservandola intensamente.

Capisci, ragazza? Non c’era forza che potesse trattenerlo. Era il suo destino, ma anche la sua scelta.
Ha camminato verso la morte, come si cammina verso un vecchio amico.

Ragazza
Alzandosi di scatto, con tono rabbioso.

Una scelta?
Come può una morte essere una scelta? Chi lo ha spinto? Chi lo ha convinto? La città, suo padre, voi poeti?
Dite destino per nascondere il sangue che avete sulle mani!

Èschilo
Rimanendo calmo, ma con voce ferma.

Non ci fu bisogno di spingerlo.
Era giovane, sì, ma vedeva ciò che altri non vedevano.
La paura di un uomo non deve diventare il destino di una città, questo era il suo pensiero.

Fa una pausa, come se cercasse le parole.

Credi che fosse cieco? Che non sapesse cosa stava lasciando? Lui amava la vita, Ragazza, come tutti noi. Ma a volte, qualcuno deve scegliere di perdere tutto, perché gli altri possano continuare a vivere.

Ragazza
Abbassando lo sguardo, con tono più sommesso.

Ma chi consola chi resta? Sua nonna, suo padre, la sua città… Cosa daranno loro in cambio del suo sacrificio? Una statua? Una canzone? Non basta. Non basterà mai.

Èschilo
Con voce più dolce, ma carica di rassegnazione.

Non consola, lo so. Non c’è gloria che riempia il vuoto lasciato da chi amiamo.
Ma Menoèceo ha scelto, non per la gloria, non per il ricordo, ma perché credeva.

Si avvicina alla Ragazza e la guarda negli occhi.

Tu lo giudichi, ma cosa avresti fatto al suo posto? Avresti scelto il tuo cuore?
O avresti scelto di salvare chi ami?

Un lungo silenzio riempie il palco. La Ragazza resta immobile, visibilmente turbata. Èschilo si allontana lentamente, lasciandola sola al centro della scena. Le luci si abbassano, lasciando un’ombra sulla Ragazza mentre il battito cardiaco del sottofondo si dissolve lentamente.

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Il Peso della Gloria

(Coro)

Il coro riflette sul ruolo della gloria e del sacrificio in guerra, introducendo la storia di Capanèo. La scena è avvolta da una luce dorata soffocante, simbolo del fardello della gloria. Il coro è disposto in semicerchio, con movimenti lenti e sincronizzati. Tengono le palette con maschere tragiche sollevate al livello del viso. Il ritmo è solenne, scandito da percussioni profonde e ripetitive, che ricordano i rintocchi di un tamburo da guerra. Tutte le voci parlano insieme, creando un’armonia imponente e carica di tensione.

Coro
Con tono grave.

Hai gridato al cielo, hai sfidato gli dèi,
con arroganza e rabbia, hai scelto chi sei.
Ma ora sei cenere, un nome nella polvere,
e chi ti piange soffre, chi resta è in lacrime.

Capanèo, uomo fiero, eri più che un guerriero,
avevi una donna che sognava un sentiero,
una casa, dei figli, una vita normale,
ma l’hybris ha bruciato ogni sogno vitale.

Capanèo
Sprezzante, con tono difensivo.

Non parlatemi di sogni, di vite tranquille,
io volevo la gloria, scalare le vette più alte.
La mia forza era il mio nome, il mio scudo era eterno,
chi osa sfidarmi brucia nell’inferno.

Coro
Risponde, severo e dolente.

Ma quale gloria, quale eterno,
ora sei cenere, disperso nel vento.
La tua forza è finita, il tuo scudo è spezzato,
e chi ti amava è rimasto distrutto, abbandonato.

La vera gloria non è in una battaglia,
ma in una vita che cresce, che mai si squaglia.
È sedere accanto a chi ami ogni sera,
vedere i tuoi figli crescere nella primavera.

Capanèo
Inizia a vacillare, la voce più sommessa.

Ma io… ero forte, ero temuto… Credevo che il mondo ricordasse il mio nome.

Coro
Con tono più incalzante.

Ricorderanno il tuo nome come una fiamma che svanisce,
una gloria b reve che mai si arricchisce.
Ma chi ricorda un padre che resta,
chi sorride a un marito che abbraccia la testa.

Potevi scegliere la vita, il calore di una casa,
invece hai scelto la morte, una strada invasa.
Guarda tua moglie, il suo cuore spezzato,
mentre tu resti qui, un ricordo svanito.

Capanèo
Si lascia cadere in ginocchio, colpito dalle parole.

Non l’ho mai vista così, così sola, così distrutta… Credevo che la forza fosse l’unica strada…
Ma forse… forse ho sbagliato.

Coro
Più dolce, ma con tono fermo.

Sì, hai sbagliato, ma non sei il solo,
molti confondono la forza col ruolo.
La vera potenza è in un cuore che ama,
in una mano che accoglie e che non si infiamma.

Hai perso tutto, ma lei ti ricorda,
con amore ferito, con l’anima sorda.
Guarda ora cosa hai lasciato,
un vuoto che il tempo non ha mai colmato.

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Sei cenere, sei niente…

(Canzone)

La moglie di Capanèo, indurita dalla vita, esprime una rabbia feroce verso il marito narcisista in un rap duro e incisivo. La scena si apre con una luce intensa che illumina il centro del palco, dove si trova la Moglie di Capanèo. Indossa una tuta nera consumata, i capelli disordinati, lo sguardo carico di rabbia. La sua voce si alza sul ritmo di un beat aggressivo e tagliente, con bassi potenti e un’atmosfera cupa. Si muove avanti e indietro sul palco, gesticolando con forza. Non c’è pausa: ogni parola è una pugnalata.

Moglie di Capanèo
Rappando con rabbia feroce.

Lo senti? Il fuoco che hai acceso?

Parlavi di gloria, di guerra, di fama,
dicevi Per Tebe!, ma eri solo una fiamma.
Un fuoco che bruciava, cieco, violento,
hai lasciato cenere, dolore e tormento.

Ti guardavi allo specchio, il dio di te stesso,
un pavone dorato, un re del successo.
Ma chi sei davvero, chi sei, rispondi!
Un vigliacco nascosto, dietro i tuoi sogni.

Sei cenere, sei vento,
hai lasciato solo dolore e tormento.
Sei cenere, sei niente,
un nome inciso che non vale niente!

La musica cresce in intensità. La moglie alza le braccia, il tono si fa ancora più tagliente.

Pensavi di essere invincibile, un titano,
ma eri solo un pagliaccio con uno scudo in mano.
Parlavi di battaglie, di sangue, di onore,
ma hai portato solo distruzione e terrore!

Ti vantavi, alzavi il bicchiere in alto,
mentre io raccoglievo i pezzi del tuo assalto.
Hai giocato con il fuoco, ora senti il calore,
bruciano i ricordi che strappano il cuore!

Sei cenere, sei vento,
hai lasciato solo dolore e tormento.
Sei cenere, sei niente,
un nome inciso che non vale niente!

Si ferma un attimo, guardando il pubblico, come per sfidarlo. La musica rallenta leggermente, creando una pausa drammatica. Poi riprende con un ritmo più incalzante.

Guarda cosa hai fatto! Guarda cosa hai distrutto!
Hai lasciato macerie! Hai bruciato promesse!

Ti ho visto cadere, gridare, sparire!
Ora chi resta? Io a soffrire!
Le tue promesse? Bugie! Le tue parole? Fumo!
Hai venduto la famiglia per un sogno di schiuma!

Il ritmo si intensifica di nuovo, i bassi diventano più profondi, le parole sono scandite con violenza.

Io raccolgo il dolore che hai lasciato nel vento
e ti maledico per ogni momento!
Sei polvere, ombra, falsa speranza,
un’eco di niente che danza e poi stanca!
Io raccolgo il dolore che hai lasciato nel vento
e ti maledico per ogni momento!

Sei cenere, sei vento,
hai lasciato solo dolore e tormento.
Sei cenere, sei niente,
un nome inciso che non vale niente!

La musica si avvia verso un climax, con una progressiva intensificazione del beat. La moglie si ferma al centro del palco, fissando il pubblico con occhi pieni di fuoco. Le sue ultime parole risuonano come un giudizio definitivo.

E io qui, sola, a raccogliere i pezzi,
di una vita spezzata dai tuoi stessi eccessi.
Il destino? No, la scusa non va,
sei stato tu, con la tua arroganza e vanità.

Ti credevi invincibile! Ora sei solo un ricordo che brucia.
La gloria non consola… Hai scelto la guerra, hai spezzato l’amore.
E ora… sei… polvere!

La musica si interrompe bruscamente, lasciando un’eco inquietante. La moglie rimane immobile, il respiro affannoso, mentre il palco si oscura gradualmente.

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L’arroganza di Capanèo

(Dialogo)

Èschilo discute della punizione di Capanèo dovuta alla sua arroganza, mentre la Ragazza sottolinea il dolore lasciato alla sua famiglia. La scena è illuminata da una luce fredda e distante. Èschilo e la Ragazza sono sul lato destro del palco, immersi in una conversazione. Lui guarda lontano, come se vedesse le gesta di Capanèo proiettate nella sua mente. Sullo sfondo, si intravedono ombre che simulano una battaglia: figure che avanzano e cadono. Il tono è grave e carico di tensione.

Ragazza
Con tono amaro e critico.

Capanèo… È questo l’eroe di cui parli? Un uomo che sfida gli dèi come un folle, che brucia nella sua stessa arroganza.
Dov’è il senso in tutto questo? Che valore ha una gloria che consuma?

Èschilo
Con tono solenne, quasi didattico.

Capanèo era un gigante, non per la sua forza, ma per il suo orgoglio.
Non tremava davanti agli dèi, non si piegava davanti agli uomini.

Fa una pausa, come a cercare le parole giuste.

Ma la sua forza era la sua rovina. Credeva che la gloria fosse una conquista personale, che sfidare il cielo lo avrebbe reso eterno.
E così, su quella scala, con il fuoco che lo circondava, gridò al cielo: Io non temo gli dèi!

Ragazza
Con indignazione.

E cosa ha ottenuto? È morto, Èschilo, bruciato dalla sua stessa presunzione! Lasciando una famiglia distrutta, una moglie che ora lo maledice.
Questa è la tua idea di eroismo?

Èschilo
Con un sospiro, abbassando lo sguardo.

No, ragazza, non lo è. Ma non scrivo per glorificare, scrivo per ricordare, per avvertire. Capanèo è una lezione, un ammonimento contro l’arroganza.

Si volta verso il pubblico, il tono si fa più diretto.

Guardate cosa accade a chi sfida il destino senza rispetto, senza umiltà. Chi pensa di vincere da solo perde tutto, e lascia un vuoto dietro di sé.

Ragazza
Più riflessiva, ma ancora critica.

E la sua famiglia? Chi consola chi resta?
La moglie lo odia, i suoi cari lo piangono, ma non c’è nulla che possa riparare le loro vite.

Èschilo
Con tono grave.

Ecco il peso dell’arroganza. Non è solo la morte a distruggere, ma ciò che lascia indietro: promesse spezzate, amore tradito, un nome che pesa come una pietra sulla coscienza.

Si avvicina alla Ragazza, guardandola negli occhi.

Ricordalo, ragazza: la vera forza non è nel gridare al cielo, ma nel piegarsi al vento senza spezzarsi.

Un breve silenzio. La Ragazza abbassa lo sguardo, riflettendo. Èschilo si allontana di qualche passo, lasciandola sola al centro del palco mentre il buio inizia a calare.

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Anime Perdute

(Coro)

Il coro introduce le voci dall’aldilà, condividendo i rimpianti degli eroi che non possono più cambiare il passato. La scena si apre con una luce tenue che illumina il coro, disposto in cerchio al centro del palco. I membri del coro indossano le loro tute rosse con le palette e le maschere greche tragiche sollevate sopra il volto. Dietro di loro, figure eteree in tute bianche e veli si muovono lentamente, rappresentando le anime degli eroi morti. La musica inizia con un ritmo lento, cupo e pulsante, accompagnato da un sussurro crescente che si trasforma in un canto corale.

Coro
In tono grave e ritmico.

Siamo le voci che non avete mai sentito,
le anime perdute, un’eco svanito.
Camminiamo tra i vivi, ma nessuno ci vede,
gridiamo il nostro dolore, ma nessuno ci crede.

Il ritmo cresce leggermente, con una melodia corale che intreccia toni bassi e alti in un crescendo.

Abbiamo combattuto, abbiamo giurato,
abbiamo versato il sangue, siamo stati ingannati.
La gloria ci ha chiamati, la guerra ci ha accolti,
ma qui nell’oblio le nostre anime sono morte.

Il coro si sposta lentamente, aprendo il cerchio mentre le figure in bianco si avvicinano. Le voci diventano più intense, quasi disperate.

Non c’è pace, non c’è riposo,
solo silenzio eterno e un vuoto angoscioso.
Guardiamo i nostri cari, ma loro non ci vedono,
piangiamo le loro lacrime, ma non ci credono.

Le figure bianche allungano le mani verso il pubblico e verso il coro, simulando il tentativo di toccare i vivi. Il ritmo rallenta per un momento, diventando quasi un lamento.

Un tempo eravamo uomini, pieni di speranza,
ora siamo ombre, prede dell’assenza.
Ci chiamano eroi, ma chi ci consola?
Un nome su una pietra non placa chi vola.

Il ritmo riprende, con un battito più marcato, le voci si uniscono nuovamente in un crescendo potente e disperato.

Anime perdute, legate al dolore,
sacrificate invano, senza alcun onore.
Guardate le nostre vite, guardate le nostre scelte,
la gloria ci ha presi, ma nulla è rimasto in queste vesti.

Il coro alza le maschere, coprendo il viso, e le figure bianche si immobilizzano. Le voci si abbassano in un sussurro corale.

Siamo le voci che non avete mai sentito,
anime perdute, un’eco svanito.
Siamo qui tra voi, siamo il vostro destino,
ma nessuno ci ascolta, nessuno ci è vicino.

Le luci si abbassano gradualmente, lasciando il palco in penombra. Le figure rosse si ritirano lentamente verso il fondo del palco, lasciando due figure bianche al centro: Anfiarào e Periclìmeno. Il brano termina con una pausa di silenzio.

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La gloria è una bugia

(Canzone)

Anfiarào e Periclìmeno, dall’aldilà, riflettono sull’inutilità della gloria e lamentano le vite che hanno perduto. La scena si apre con una luce fredda che illumina il palco, creando un’atmosfera surreale. Anfiarào e Periclìmeno, vestiti in tute bianche con veli leggeri sul volto, si trovano ai margini di un grande vuoto scenografico, simbolo dell’Ade. La base musicale parte con un beat malinconico ma incisivo. I due iniziano a rappare in alternanza, ma presto si sovrappongono, intrecciando le loro voci in un ritmo serrato.

Anfiarào

La gloria è una bugia… un’ombra che ci consuma…

La gloria è una bugia, l’ho vista con i miei occhi,
un miraggio nel deserto che inganna i più sciocchi.
Mi dissero Eroe!, mi spinsero al fronte,
ma ora sono qui, nell’ombra, oltre il monte.

Periclìmeno

Anch’io ci sono caduto, ingannato dal potere,
Combatti per il nome, mostra il tuo valore!
Ma il nome è cenere, il valore è polvere,
e chi resta a piangerci? Solo chi soffre.

Anfiarào e Periclìmeno
Insieme.

La gloria è cenere, è fumo che svanisce,
un fuoco che consuma, un inganno che tradisce.
La gloria è polvere, è un nome dimenticato,
un’eco nel vento, un sogno spezzato.

Le luci si abbassano leggermente, creando un’ombra lunga alle spalle dei due. Il ritmo si intensifica, e i versi diventano più taglienti e diretti.

Anfiarào

Profeta, guerriero, così mi chiamavano,
chi ascolta il mio silenzio? Nessuno, mi ignoravano.
Ho predetto la mia fine, l’ho vista chiaramente,
eppure mi hanno spinto, ciechi, verso niente.

Periclìmeno

Io, il trasformista, mille volti, mille vite,
ma qui nell’Ade non esistono uscite.
Ci hanno dato una guerra, una finta bandiera,
per coprire il vuoto di una gloria chimera.

I due si muovono lentamente verso il centro del palco, come se cercassero di uscire dall’oblio, ma ogni passo sembra più pesante. Il beat rallenta per un momento, creando una pausa drammatica. Poi riprendono insieme, intrecciando le voci in un duetto.

Anfiarào e Periclìmeno
Insieme.

La gloria è cenere, è fumo che svanisce,
un fuoco che consuma, un inganno che tradisce.
La gloria è polvere, è un nome dimenticato,
un’eco nel vento, un sogno spezzato.

La musica si intensifica, il rap diventa più emotivo, quasi disperato.

Anfiarào

Dicono che siamo eroi, ci chiamano vincenti,
ma i veri sconfitti siamo noi, dimenticati e spenti.

Periclìmeno

La gloria è per chi vive, per chi canta il tuo nome,
ma per chi è qui nell’Ade non c’è più alcun valore.

La base musicale si fa più ritmata, i bassi pulsano con forza, mentre i due si alternano nuovamente in un ritmo serrato.

Anfiarào

Io vedo i vivi che alzano brindisi,
mentre noi siamo polvere, siamo invisibili.

Periclìmeno

Io vedo madri che piangono lacrime,
mentre la gloria che cantano è solo un inganno fragile.

Anfiarào e Periclìmeno
Insieme.

La gloria è cenere, è fumo che svanisce,
un fuoco che consuma, un inganno che tradisce.
La gloria è polvere, è un nome dimenticato,
un’eco nel vento, un sogno spezzato.

Anfiarào

Non c’è ritorno, non c’è riscatto,
solo un nome inciso su un pezzo di marmo.

Periclìmeno

Non c’è perdono, non c’è conforto,
solo un eterno rimpianto che porto.

Il ritmo si abbassa nuovamente, lasciando solo le voci dei due che si intrecciano in un ultimo ritornello corale, carico di malinconia.

Anfiarào e Periclìmeno
Insieme.

La gloria è un’ombra che svanisce nel tempo,
un’eco nel vento che non trova… un senso.

La musica si spegne lentamente, mentre i due si allontanano nel buio, sparendo dall’Ade.

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Il Volto della Gloria

(Dialogo)

La scena si apre con Èschilo e la Ragazza sul palco. La luce è tenue, un’illuminazione soffusa che mette in risalto i due personaggi. Èschilo cammina lentamente, pensieroso, mentre la Ragazza lo osserva con curiosità.

Èschilo
Con tono sarcastico.

Ah, figlia mia, vuoi davvero conoscere il volto della gloria? Non quello degli eroi, coperti di sangue e sudore, ma quello di chi rimane a casa, gonfiando il petto con discorsi altisonanti, mentre altri vanno a morire.

Ragazza
Perplessa, ma incuriosita.

Parli con amarezza, Èschilo. Chi sono queste persone? Sono forse ipocriti?

Èschilo
Ridendo amaramente.

Ipocriti? No, no, sono maestri dell’illusione. Venditori di gloria al mercato delle parole, sempre pronti a lodare chi muore, ma mai abbastanza coraggiosi per affrontare il rischio.

Ragazza

E cosa fanno? Vivono di retorica?

Èschilo
Si ferma, con tono più incisivo.

Vivono di illusioni vendute e vino cattivo bevuto. Li riconosci dalla loro bava quando parlano, dal loro passo incerto, e dalla prostata, che li sveglia ogni notte come un dio crudele.

Ragazza
Sorridendo debolmente, ma ancora dubbiosa.

Mi sembra che il tuo sarcasmo nasconda una verità. Chi è questo uomo? Voglio vederlo.

Èschilo
Indica la scena, con un sorriso amaro.

Guardalo. È lì. Lo vedrai tra poco. Un uomo che si crede un filosofo, ma è solo uno zimbello.
Il coro te lo mostrerà meglio di quanto io possa raccontarti
Ascoltali, Ragazza. Scoprirai il vero volto della gloria.

Èschilo si ritira di lato, lasciando la scena al coro. Le luci cambiano, illuminando il palco con una tonalità più vivace. Il coro entra, muovendosi in modo teatrale ed esagerato, come se dipingesse un ritratto satirico del marito, questa volta indossando le maschere da commedia.

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Ritratto di un Vecchio Zimbello

(Coro)

Coro
Tono leggero e ironico. Maschere della Commedia.

Ah, Èschilo, grande autore, padre del destino,
che intreccia tragedie con ingegno divino!
Ma tra i versi solenni e il pathos infinito,
nascondeva un segreto… un desiderio proibito.

Il coro si avvicina al pubblico, abbassando il tono, come per svelare una confidenza.

Non voleva solo eroi, dèi e profezie,
voleva scrivere commedie, far ridere le platee.
Non voleva il tragico, il solenne, il sublime,
ma parolacce e risse, insulti e pantomime.

Il tono cambia, il coro si muove con gesti caricaturali, mimando Èschilo frustrato che scrive e strappa pergamene, desideroso di scrivere qualcosa di volgare.

Ah, se potessi far dire che un generale è un coglione,
se un vecchio piscialetto si potesse vedere!
Una moglie feroce, un marito ubriacone,
questa sì che sarebbe un’ispirazione!

Il coro si ferma per un attimo, rivolgendosi al pubblico con gesti ampi e teatrali.

E oggi Èschilo sogna e finalmente sorride,
perché la scena che segue è il suo desiderio che vive.
Un marito che si crede un gigante eterno,
ma che inciampa nei sandali ogni giorno, d’estate e d’inverno…

Il coro si avvicina al marito, che è già visibile sul palco, in posa fiera e tronfia, pronto a iniziare il suo rap. Lo prendono di mira direttamente, accentuando il tono satirico.

Guardatelo, il vecchio! Si gonfia, si alza,
ma il passo traballa e la tuta è una calza!
Un filosofo? No, un piscialetto stanco,
che parla di gloria mentre inciampa sul banco!

Parla di onore, di sacrifici e dovere,
ma dimentica le chiavi e si perde nel bicchiere.
Un eroe del focolare? Ma quando, ma come?
Un uomo che si gonfia solo con parole.

Il coro si rivolge alla moglie, che è già in scena seduta mentre sgrana i fagioli prendendoli da un sacco e versandoli in una pentola che ha tra i piedi, pronta a demolirlo.

E tu, povera donna, che hai sopportato,
il suo odore di vino e il respiro ansimato.
Ma ora è il tuo turno, mostraci il tuo potere,
metti fine a quest’uomo e al suo ridicolo mestiere!

Il coro si ritira sullo sfondo, lasciando spazio al duetto. Il marito si gonfia ulteriormente, pronto a iniziare il suo rap, ignaro del destino che lo attende.

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La Gloria non Consola

(Duetto Comico-Drammatico)

Un padre celebra pomposamente la gloria del figlio, ma la madre lo smaschera con sarcasmo feroce, portandolo a comprendere il vero dolore. La scena si svolge su un palco illuminato con luci vivaci. Al centro del palco, entra il Padre Vanaglorioso, un uomo maturo che indossa una tuta nera adornata con medaglie, cordoni e nastrini militari. Indossa scarpe sportive nere e tiene in mano un microfono dorato. Il suo atteggiamento è tronfio e sicuro di sé, come un rapper pronto a esibirsi davanti a una folla adorante.

Padre
Rappando con enfasi retorica.

Prima i Tebani, il nostro orgoglio e gloria,
Noi siamo i forti, gli altri son memoria!
Anormali sono, non capiscono niente,
Noi siamo la luce, il popolo potente!

Lo dico da papà, con il cuore in mano,
Nostro figlio è un eroe, un vero Tebano!
Ha dato la vita per la nostra città,
La sua gloria vivrà per l’eternità!

Il padre si muove con gesti ampi, cercando di coinvolgere la moglie, che però lascia passare il momento dell’attacco della sua strofa. Come di sorpresa, la musica si interrompe bruscamente con un graffio sonoro.

Madre
Con tono tagliente e scurrile.

“Prima i Tebani?” Ma smettila con queste stronzate!
Sei lì che fai il gradasso, mentre ti pisci addosso ogni due minuti e credi a tutte le cazzate che ti raccontano.
“Anormali?” Ma guardati allo specchio, vecchio rimbambito! Tu, con le tue manie di grandezza, sei l’aberrazione più grande che abbia mai visto!
E poi lo dici “da papà”? Ma che razza di padre sei mai stato, eh?
Parli di gloria e onore, ti gonfi come un pallone bucato, mentre nostro figlio non c’è più!

NON C’È PIÙ, CAPITO?!!!

Ti riempi la bocca di belle parole, di “valore” e “sacrificio”, ma non senti nemmeno il peso del dolore!
Tu non sai cos’è soffrire davvero, perché sei troppo impegnato a recitare il tuo teatrino di grande uomo!

Si ferma per un momento, lo guarda con un’espressione di puro disprezzo, poi scuote la testa e riprende a sgranare i fagioli, lasciandolo lì, sconfitto e senza parole. Il padre si irrigidisce, cercando di mantenere la facciata. Riprende a rappare, ma la sua sicurezza vacilla.

Padre
Rappando, visibilmente scosso.

Donna, ascolta! Non capisci il valore,
L’onore che portiamo nel nostro cuore!
Prima i Tebani, lo dico da papà,
Difendiamo i nostri, questa è la verità!

Proteggiam la patria, la nostra tradizione,
Chi non è come noi è solo un’aberrazione!
Nostro figlio ha fatto ciò che doveva,
La sua morte è gloria, la sua vita breve ma vera!

Il padre dà un altro attacco per la madre, ma lei ignora di nuovo il tempo, costringendo la musica a fermarsi con un altro graffio sonoro. La madre riprende con maggiore intensità.

Madre
Ancora più feroce e scurrile.

Valore? Onore? Ma quali cazzo di parole stai usando! Ti nascondi dietro slogan vuoti mentre io sono qui, schiacciata dal dolore!
“Prima i Tebani”, “Anormali”? Ma smettila con queste idiozie!
Sei solo un vecchio coglione, incapace di capire qualcosa, incapace di crescere!
E lo dici pure “da papà”? Non senti nemmeno un briciolo di vergogna?
Nostro figlio è sottoterra, marcisce lì sotto, e con lui sono sepolti i suoi sogni, e tu sei qui a blaterare di gloria e sacrifici? La tua gloria? È una favola ridicola, una bugia meschina! E tu… tu sei il buffone di questa tragedia senza senso!

Si ferma per un attimo, il respiro affannoso. Lo guarda con uno sguardo di puro disprezzo, poi si volta, lasciandolo solo con il peso delle sue parole. Il padre cerca di riprendere il controllo. Ricomincia a rappare con forza.

Padre
Rappando, tentando di dominare.

Il sacrificio è il prezzo della libertà,
Nostro figlio è un eroe, questa è la realtà!

La madre lo sorprende: per la prima volta, segue il suo ritmo con sarcasmo feroce.

Madre
Cantando con profondo dolore.

Non c’è gloria che consoli un cuore spezzato,
Non c’è onore che riporti indietro chi è andato.

Parli di Tebani, di anormali e destino,
Ma nostro figlio è morto, ed io rimango qui, sola nel cammino.

La madre si ferma, aspettando una risposta. Il padre, colpito dalle sue parole, abbassa lo sguardo e lascia passare il tempo costringendo la musica a fermarsi con un altro graffio sonoro. Dopo una breve pausa, la musica riprende e il padre, con voce tremante, si unisce al canto.

Madre

Lo dici da papà? Allora ascolta bene,
Un padre vero sente queste catene.
Il dolore che ci unisce non si può negare,
Smetti di fuggire, inizia ad accettare.

Padre
Cantando, con voce spezzata.

Ora vedo il vuoto delle mie parole,
Il peso del tuo dolore mi trafigge il cuore.
Prima i Tebani? Che sciocche illusioni,
Ho perso di vista le vere emozioni.

Lo dico da papà, finalmente ho capito,
Che il nostro dolore è un abisso infinito.
Perdonami se ho nascosto la mia paura,
Dietro frasi fatte e falsa armatura.

Padre e Madre
Cantando insieme.

La gloria non consola, non riporta indietro,
Non lenisce il dolore, non cancella il segreto.
Insieme affronteremo questo mare in tempesta,
Perché l’amore è tutto ciò che ci resta.

La musica sfuma dolcemente. I due si avvicinano e si abbracciano al centro del palco, un cono di luce li avvolge. Sullo sfondo, il coro in tuta rossa solleva le maschere greche in segno di rispetto e riflessione. Il pubblico è immerso in un silenzio profondo, toccato dall’intensità della scena.

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La Violenza Genera Violenza

(Dialogo)

La scena si apre con Èschilo al centro del palco, illuminato da una luce fredda. La Ragazza è sul lato opposto, avvolta in un’ombra più morbida. Sullo sfondo, Megàreo è fermo, con una grossa pistola automatica nera stretta tra le mani. Il silenzio è rotto dalla voce grave di Èschilo.

Èschilo
Rivolgendosi al pubblico.

Quante volte abbiamo visto questa scena?
Un ragazzo, un’arma, una scelta. Non è un eroe, non è un guerriero. È solo qualcuno che ha perso tutto. Una casa, una famiglia, un rifugio.

Indica Megàreo.

Guardatelo! Ha la rabbia che lo spinge avanti, ma la paura che lo trattiene. È stato scacciato dal calore della sua casa, privato di tutto, e ora chi lo ha armato lo spinge a combattere. Loro, quelli che lo comandano, non sono qui. Stanno nelle loro belle case, al sicuro. Guardano da lontano e aspettano che sia lui a sanguinare al loro posto.

Ragazza
Alzando lo sguardo, con rabbia.

E allora? Cosa dovrebbe fare? Abbassare l’arma? Voltarsi e fingere che tutto sia a posto? Come si spezzano le catene, Èschilo? Non con le parole. Le parole non ricostruiscono case, non rimettono insieme le vite spezzate. Non danno giustizia.

Èschilo
Calmo, ma più intenso.

E la vendetta sì? Gli ridarà la sua casa? Riporterà indietro la sua famiglia? No, figliola. La vendetta non aggiusta niente.

Fa un passo verso di lei, indicando di nuovo Megàreo.

Guardalo. Ha paura, ma è troppo arrabbiato per fermarsi. La rabbia non lo libera, lo imprigiona. Gli dà l’illusione di essere forte, ma lo sta consumando. È una catena che si stringe sempre di più, fino a lasciarlo senza respiro.

Ragazza
Stringendo i pugni, con voce incrinata tra rabbia e dubbio.

E se non avesse più nulla da perdere? Se tutto ciò che aveva fosse già cenere? Chi gli ha tolto tutto non si fermerà. Non smetteranno di distruggere. E lui cosa dovrebbe fare? Voltarsi dall’altra parte e lasciarli vincere?

Èschilo
Con tono fermo, ma più dolce.

Non esistono risposte perfette.
Ma la giustizia non è vendetta.
La pietà non è debolezza.

Pausa. Fa un passo verso di lei.

Megàreo non è il solo. Ce ne sono tanti come lui. Strappati alla loro casa, usati come armi, manipolati da chi resta al sicuro.

Ragazza
Abbassando lo sguardo, più sommessa, ma ancora carica di dubbi.

E se fermarsi non bastasse? Se chi sta dietro quei muri dorati continuasse a nascondersi? Se la pietà non cambiasse nulla?

Èschilo
Con un sorriso amaro.

Forse non basta. Forse i muri resteranno.
Ma se si ferma, cambierà lui.
E a volte, ragazza mia, questo è tutto ciò che serve per cominciare.

La scena si chiude lentamente. Megàreo resta immobile al centro del palco, con l’arma ancora stretta tra le mani.

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Se uccido chi sarò?

(Canzone)

La luce si abbassa lentamente su Èschilo e la Ragazza. Il silenzio avvolge la scena, spezzato solo da un battito lento, come un cuore che ricomincia a battere. La musica parte con un beat lento e pesante, cupo. Megàreo avanza verso il centro del palco, con gesti incerti ma decisi. La sua voce è carica di rabbia e paura, un rap emotivo che mostra il conflitto interiore del giovane, in mano una grossa pistola nera automatica.

Megàreo

Hanno preso la mia casa, hanno spaccato i muri,
ma io sono ancora qui… ancora qui!

Hanno preso la mia casa, hanno spaccato i muri,
hanno calpestato il mio nome sotto i loro stivali duri.
Mi hanno lasciato in strada, senza terra né riparo,
con la fame che brucia e un odio che spara.

Dicono “Vai! Alzati! Difendi il tuo onore,”
ma il cuore batte forte e mi sento prigioniero.
Cammino nel fango, vedo i volti che urlano,
gli occhi pieni di fuoco, ma i passi mi tremano.

Il ritmo cresce, Megàreo si muove con maggiore intensità, come se stesse cercando di convincersi.

Non voglio tremare, non voglio scappare,
ma questa paura mi sta per schiacciare.
Se uccido, chi sarò? Un mostro o un uomo?
Ma se resto qui fermo, mi perdo nel rancore.

La musica si fa più ritmata e incalzante. Megàreo si ferma, guardando il pubblico, con una mano stringe l’arma, con l’altra slaccia la giacca della tuta rivelando un giubbotto esplosivo. Il tono diventa più disperato.

Mi hanno detto “obbedisci,” che è scritto nel destino,
che il sangue si ripaga solo con altro vino.
Ma il mio sangue arde, non vuole vendetta,
vuole giustizia, vuole una vita che aspetta.

Poi li vedo, nascosti dietro mura dorate,
bevono vino, contano monete.
Loro parlano forte, ci chiamano eroi,
ma restano al sicuro mentre mandano noi.

Non voglio tremare, non voglio scappare,
ma questa paura mi sta per schiacciare.
Se uccido, chi sarò? Un mostro o un uomo?
Ma se resto qui fermo, mi perdo nel rancore.

Chi decide chi vive e chi muore?
Chi spegne il mio fuoco quando diventa orrore?
Le mani sudano, stringo forte il bastone,
la rabbia mi guida ma la mente è prigione!

Con rabbia crescente.

Non voglio cadere, non voglio tradire,
ma ogni strada che prendo mi fa solo impazzire,
ogni passo è un fardello, ogni scelta è una lama,
il mio cuore batte ma dentro si spezza e si infiamma!

Non voglio tremare, non voglio tradire,
ma ogni strada che prendo mi fa solo impazzire,
ogni passo è un fardello, ogni scelta è una lama,
il mio cuore batte ma dentro si spezza e si infiamma!

Non voglio tremare, non voglio scappare,
ma questa paura mi sta per schiacciare.
Se uccido, chi sarò? Un’ombra nel buio?
Ma se resto qui fermo, non sarò più nessuno.

Breve pausa, poi riprende con voce più sommessa e disperata.

Se uccido, chi sarò? Se resto qui fermo, non sarò più nessuno.

La musica si spegne lentamente, lasciando il giovane inginocchiato al centro del palco. La base si intensifica per un momento, poi si smorza, lasciando spazio alla voce del coro.

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La Lezione della Vendetta

(Coro)

Il coro si alza lentamente ai lati del palco. Indossano tute rosse e tengono le palette con maschere tragiche sollevate sopra i volti. Le luci fredde e taglienti continuano a brillare, fredde e inaccessibili. Il giovane protagonista è al centro, inginocchiato, con in mano l’arma. La musica è lenta, carica di tensione, mentre le voci del coro si alzano in un’armonia solenne.

Coro

La vendetta chiama sangue, e il sangue chiama lacrime,
un ciclo che non si spezza, una catena di anime.
Giustizia non è rabbia, né il ferro che taglia,
ma la scelta di fermarsi prima della battaglia.

Il coro avanza lentamente, stringendo il cerchio attorno al giovane, che abbassa la testa. Le palette con le maschere si abbassano leggermente, come segno di giudizio e compassione.

Chi uccide non guarisce, chi odia non risana,
la pace non si trova con la mano che si insanguina.
Nessuno spezza il dolore con una nuova ferita,
la vendetta è una prigione che chiude ogni uscita.

La voce del coro si fa più intensa, mentre si avvicinano ancora di più, come spingendo il giovane verso una decisione.

Hai paura di agire, hai paura di restare,
ma quale strada può liberare il tuo cuore e le tue mani?
Non c’è onore nel sangue, né valore nel fuoco,
la vendetta è solo un’eco che risponde al vuoto.

Il giovane tiene lo sguardo basso, le mani tremano mentre fissa l’arma. Il coro lo osserva senza muoversi, aspettando la sua scelta.

Chi cede alla rabbia non trova perdono,
chi vive nell’odio non lascia un ritorno.
Il tuo passo è pesante, il tuo cuore è ferito,
ma puoi spezzare il ciclo, puoi scegliere un cammino.

Il giovane lascia cadere l’arma rumorosamente. Il suono rimbomba nel silenzio, seguito da un lungo battito di tamburo che si affievolisce.

Non sei più un bambino, né ancora un uomo,
sei solo un’anima che cerca il perdono.
La speranza è lontana, e il futuro è in rovina,
ma scegliere la pietà può dare una via.

Il coro si ferma. Le luci si abbassano lentamente, lasciando il giovane inginocchiato al centro del palco.

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Rimpianti e Futuro

(Dialogo)

Èschilo incoraggia la Ragazza a riflettere su ciò che può essere ancora salvato, mentre lei inizia a ribellarsi al destino ineluttabile. La scena si apre con una luce calda che illumina Èschilo e la Ragazza, seduti ai lati opposti del palco. Èschilo guarda in basso, assorto nei suoi pensieri, mentre la Ragazza osserva il vuoto davanti a sé, visibilmente turbata. Sullo sfondo, ombre lente e indistinte rappresentano i morti, quasi fermi nel tempo. Il silenzio è rotto da un battito lento, come un cuore che scandisce il ritmo della scena.

Ragazza
Con tono triste e riflessivo.

Parli di gloria e di memoria, ma io vedo solo ombre. Rimpianti che si intrecciano, vite spezzate, nomi che svaniscono.
Chi ricorda davvero? Chi si ferma a pensare?
Tebe è salva, dici. Ma a quale prezzo?

Èschilo
Alzando lo sguardo, con tono grave.

Il prezzo della gloria è sempre alto, e il futuro si costruisce sul passato. Ma il passato non consola, figlia mia, è un’eco che risuona nelle vite di chi resta.
Ogni scelta lascia una cicatrice, ogni rimpianto è una lezione per chi verrà dopo.

Si alza lentamente e cammina verso il centro del palco, guardando verso il pubblico.

Noi scriviamo per ricordare, per tenere viva la memoria, ma anche per avvertire. La gloria è fragile, il destino inesorabile, ma il futuro… il futuro è nelle mani di chi lo sceglie.

Ragazza
Alzandosi, con tono deciso, ma carico di dolore.

E io? Qual è il mio futuro?
Sono qui, a guardare ciò che è stato, a sentire il peso di ogni scelta, ma non trovo risposte, non trovo pace.

Si avvicina a Èschilo, quasi sfidandolo con lo sguardo.

Tu, che scrivi e racconti, tu che metti in scena vite e morti, cosa proponi?
Qual è la tua soluzione?

Èschilo
Con un sorriso amaro, ma gentile.

Io non propongo. Io mostro, io lascio che il pubblico scelga.
Ma se mi chiedi un consiglio, se cerchi un segno…

Pausa. Guarda la Ragazza intensamente.

Il futuro non è scritto, e il destino non è una catena.
Rompilo. Scegli.
Non lasciare che la rabbia o il dolore ti guidino, ma la pietà, la compassione. Solo quella può trasformare il rimpianto in speranza.

Ragazza
Abbassando lo sguardo, più calma, ma ancora incerta.

Pietà…
È una parola che sembra fragile, ma forse è l’unica risposta.

Guarda di nuovo Èschilo.

Mostrami come.

Èschilo annuisce, poi si allontana lentamente verso l’ombra, lasciando la Ragazza sola al centro del palco. Le luci si concentrano su di lei, mentre le ombre del coro si avvicinano lentamente, come se aspettassero una sua scelta. Il battito che accompagna la scena si spegne lentamente, lasciando spazio al silenzio.

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Conflitto Fratricida

Le Ferite della Guerra

(Coro)

Il coro racconta il destino tragico di Eteòcle e Polinìce, preparando il loro fatale scontro. La scena si apre con una luce fredda che illumina il coro, disposto in file serrate, con le palette e le maschere greche abbassate sul petto. Sullo sfondo, ombre indistinte si muovono lentamente, evocando figure di soldati e civili in fuga. La musica è un battito grave e profondo, le voci del coro emergono con lentezza, potenti e sincronizzate.

Coro

Non si vedono sempre, ma restano aperte,
le ferite della guerra, profonde e silenziose.
Non c’è gloria che possa guarire,
solo cicatrici che il tempo non può assorbire.

Le voci si alzano, il ritmo si fa più intenso, come un lamento che cresce.

Sulle mura spezzate, tra il sangue versato,
si alza il dolore di chi è stato lasciato.
Ogni colpo una perdita, ogni grido un’eco,
ogni passo sul campo lascia un cuore cieco.

Il coro si muove lentamente, come se avanzasse sotto un peso invisibile. Le palette vengono sollevate con gesti lenti, enfatizzando il senso di lutto collettivo. La musica diventa più marcata, con un ritmo incalzante.

Le ferite della guerra non si chiudono mai,
sono lettere invisibili scritte nei guai.
Nei cuori di chi lotta, nei volti di chi aspetta,
la guerra non finisce, nemmeno quando si smette.

Le maschere vengono sollevate di nuovo, le voci si intrecciano in un climax corale.

Dicono pace, ma il dolore resta,
una guerra finita, ma un’altra è già desta.
Dicono onore, ma è un peso che spezza,
le ferite della guerra sono una condanna che freme.

Le voci rallentano per un momento, creando un effetto di eco doloroso.

Non si vedono sempre, ma restano aperte,
le ferite della guerra, profonde e silenziose.
Non c’è gloria che possa guarire,
solo cicatrici che il tempo non può assorbire.

Un silenzio breve cade sulla scena. Poi, con un tono più cupo e sussurrato, il coro conclude.

Le ferite della guerra… sono sempre vive…

Le luci si abbassano lentamente, lasciando solo le ombre sullo sfondo, che si dissolvono nel buio. Il ritmo si spegne gradualmente, lasciando il pubblico immerso nel silenzio e nella tensione.

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Maledetti dal Destino

(Canzone)

Eteòcle e Polinìce, che tengono in una mano un lembo dello stesso foulard rosso, che rappresenta il destino, che si tende e si muove con i loro gesti, combattono in una lotta figurata che culmina nella loro morte reciproca. La scena si apre con un’atmosfera cupa e surreale. Eteòcle e Polinìce si trovano al centro del palco, illuminati da luci fredde e tremolanti. La musica parte lenta, i due si muovono in cerchio, come due danzatori costretti a condividere lo stesso spazio, trascinati da una forza invisibile.

Eteòcle
Rappando, con voce tesa.

Non sono io a volere questa lotta crudele,
è il destino che ci lega, ci spinge, ci rivela.
Io non scelgo, io non voglio, ma devo combattere,
questa spada mi pesa, ma non posso fermare.

Non vedo un fratello, vedo un nemico,
eppure il tuo volto è così familiare, amico.
Mi odi? Non so, non importa, non posso scappare,
il destino è un filo che ci vuole spezzare.

Eteòcle tira leggermente il foulard verso di sé, con un movimento deciso. Polinìce resiste e risponde, entrambi oscillano nei loro gesti come burattini mossi da una forza superiore.

Polinìce
Rappando, con voce spezzata.

Non voglio la guerra, non voglio questa scena,
ma il destino mi stringe, il mio cuore si avvelena.
Non sono io, è qualcosa che ci forza a lottare,
questo filo rosso che non posso lasciare.

Fratello, perché? Perché siamo qui,
a scrivere col sangue ciò che non si può dire?
Questa lotta non è nostra, ma di dèi crudeli,
che giocano con i nostri corpi come burattini fedeli.

Polinìce tira il foulard con un movimento improvviso, costringendo Eteòcle a piegarsi leggermente. I loro passi e gesti si intrecciano, come una danza di combattimento, mentre il foulard rimane sempre teso tra loro.

Eteòcle e Polinìce
Insieme, rappando con rassegnazione.

Maledetto destino, ci ha fatti nemici,
due fratelli divisi, i cuori traditi.
Non c’è scelta, non c’è speranza,
solo il suono del fato che avanza!

I movimenti diventano più intensi, i due si scambiano colpi figurati che si fermano sempre a un passo dal contatto. Il foulard oscilla e si tende, sempre presente, simbolo dell’impossibilità di separarsi davvero.

Eteòcle
Rappando, quasi disperato.

Non voglio questo, non voglio vederti cadere,
ma il mio braccio si alza, non riesco a tacere.
Le mani mi tremano, gli occhi si chiudono,
eppure continuo, come se fossi costretto.

Eteòcle tira il foulard con forza, trascinando Polinìce verso di sé. Per un attimo si fissano negli occhi, come se il loro sguardo fosse un grido muto di comprensione. Poi Polinìce reagisce con un movimento fluido, il foulard scivola tra le loro mani.

Polinìce
Rappando, con voce spezzata.

Fratello, fermati, siamo sangue, siamo carne,
ma il destino ci trascina, ci spinge in questa farsa.
Io non scelgo, io non voglio, ma devo reagire,
questa lama mi brucia, ma non posso mentire.

Polinìce affonda un colpo figurato con un movimento rapido, accompagnato dal foulard che si tende come una corda pronta a spezzarsi. Entrambi si fermano, il respiro si fa pesante, il foulard sembra quasi vivo, mosso dalla tensione.

Eteòcle e Polinìce
Insieme, con voce spezzata.

Maledetto destino, ci ha presi, ci tiene,
due fratelli legati, due cuori in catene.
Non siamo uomini, siamo pedine,
guidati da forze oscure e divine!

Eteòcle

Perché? Perché ci hai fatti schiavi?
Chi ha scritto questo gioco che ci rende prigionieri?
Sangue contro sangue. Vita contro vita.
E l’odio ci brucia, ci consuma e ci sfida!

Polinìce

Non posso fermarmi. Non posso cedere!
Ogni passo ci avvicina alla fine che meritiamo!
Se questo è il destino, allora lo spezzo,
con questa lama incisa nel tuo petto!

Eteòcle

E tu pensi di vincere? Non esiste vittoria!
Solo sangue versato, un nome senza gloria!
Io cadrò, ma ti porterò con me.
Fratello mio, sarai parte del mio inferno!

Eteòcle e Polinìce
Insieme, con voce spezzata.

Maledetto destino, ci ha presi, ci tiene,
due fratelli legati, due cuori in catene.
Non siamo uomini, siamo pedine,
guidati da forze oscure e divine!

In un ultimo movimento sincronizzato, i due fratelli si trafiggono a vicenda con colpi figurati. Il foulard si solleva brevemente, poi cade inerte a terra, simbolo della loro morte. La musica si interrompe bruscamente, lasciando spazio solo ai loro respiri affannosi. Nel momento della morte, ciascuno chiama la madre con un filo di voce. Le loro voci spezzano il silenzio, creando un impatto emotivo straziante.

Eteòcle
Morendo, sussurrando.

Mamma… aiutami… ho freddo… ho paura…

Polinìce
Morendo, con le lacrime agli occhi.

Mamma… perdono… perdonami… non volevo…

I due fratelli si affrontano in piedi, stretti in un ultimo abbraccio segnato dalla violenza. Le loro armi li hanno trafitti reciprocamente, sigillando il loro destino in un gesto senza ritorno. La musica scandisce il momento con due colpi distinti: al primo, l’oscurità avvolge la scena, cancellando ogni dettaglio; al secondo, la luce ritorna, rivelando i corpi ormai privi di vita, distesi l’uno accanto all’altro. Al centro, tra di loro, il foulard rosso abbandonato cattura l’attenzione, simbolo silenzioso del legame spezzato e della tragedia consumata.

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La Ribellione e la Verità

La Ribellione del Coro

(Dialogo)

Il coro entra in scena muovendosi velocemente verso Èschilo per affrontarlo e ribellarsi contro l’autore, rifiutando il ruolo imposto.

Coro
In tono grave.

Èschilo, narratore del destino,
tu che canti del dolore divino.
Hai scritto ancora una tragedia immortale,
ma è solo sangue che scorre, un altro annale.

Cosa insegna il tuo canto, cosa lascia?
Una città in rovina, una memoria che si straccia.
Hai mai pensato, poeta, al peso del tuo verso,
se costruisce ponti o rafforza l’universo?

Èschilo
Confuso, guardandosi intorno.

Chi osa parlare così? Chi sfida il poeta?
Ho cantato le gesta degli uomini, delle loro scelte. Ho dato voce al destino, al potere eterno, non sono io a decidere ciò che è buono o cattivo.

Coro
Più vicino, puntando un dito accusatorio.

Ma hai scelto di narrare una storia di morte,
un ciclo che si ripete, senza speranza né sorte.
Sei solo un testimone, un guardone del dolore,
e ti compiaci del tuo canto, ignorando il cuore.

Hai mai pensato, poeta, al senso del tuo gesto,
se illumina un cammino o lascia tutto funesto?

Èschilo
Indignato, ma con una nota di dubbio.

Io… ho mostrato la verità, il fato che incombe, ho dato voce al conflitto che il tempo consuma.
Non è mio compito cambiare le leggi degli dèi, ho solo raccontato ciò che accade nella storia.

Coro
Più intenso, incalzante.

E cosa resta del tuo canto, quando il sipario si chiude?
Solo cenere e pianti, solo vuoti preludi.
E se invece mostrassi un’altra via,
se cantassi non solo del fato, ma di pietà?

La tragedia è completa, il ciclo si chiude,
ma la ragazza è viva, il suo cuore si schiude.
È lei la chiave, il messaggio, la fiamma,
non un sacrificio, ma un gesto che chiama.

Èschilo
Ora turbato, riflettendo.

La ragazza?… Oh sì, è molto più di una parte, più di un semplice nome inciso nelle mie parole. Forse il mio canto non serve solo a raccontare, ma a cercare una nuova verità, a immaginare un futuro diverso.

Coro
Con tono più dolce, ma fermo.

Non serve un’altra tragedia, non serve altro dolore,
il mondo ha bisogno di un canto d’amore.
Sei il poeta, colui che può scegliere,
se lasciare il destino o la pietà favorire.

Guarda la giovane, il suo atto che inizia,
lei è la tua erede, la tua vera primizia.
Scrivi per lei, lascia che la sua voce risuoni,
canta della pietà, quella che tutti perdona.

Èschilo si ferma, osservando la giovane con occhi nuovi. La luce si fa più calda intorno a lui, e il suo sguardo si addolcisce. Si avvicina a lei, e per la prima volta si rivolge a lei come guida e non solo come narratore.

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La verità di Èschilo

(Dialogo)

Èschilo rivela alla giovane la sua vera identità e il compito di sfidare le leggi umane per seguire la pietà. Èschilo si ferma, osservandola con occhi nuovi. La luce si fa più calda intorno a lui, e il suo sguardo si addolcisce. Si avvicina a lei, e per la prima volta si rivolge a lei come guida e non solo come narratore.

Èschilo
Solenne, con tono grave.

Hai ascoltato ogni storia, hai visto ogni volto. Hai udito la rabbia, il dolore, la gloria inutile, e hai visto come il destino intreccia le vite degli uomini.
Ma ora, figlia mia, il momento è tuo.

Ragazza
Confusa, esitante.

Mio? Non capisco… io sono solo un’ombra tra queste vite.
Cosa posso fare contro il destino?

Èschilo
Avvicinandosi a lei, con voce più intensa.

Tu non sei solo un’ombra, sei la luce che può sfidare l’oscurità.
Io ho scritto queste storie PER TE perché tu possa comprenderle e agire. Il destino è una trappola, ma c’è una forza che lo può spezzare.
TU SEI ANTÌGONE.
Figlia di Edipo, sorella di Polinìce ed Eteòcle. Tu sei la sola che può raccogliere ciò che resta.
Tu sei la sola che ha la forza per spezzare il ciclo!

Ragazza
Con ansia crescente.

Quale forza? Cos’è che può spezzare il destino?

Èschilo
Solenne, quasi sussurrando.

La pietà.
La pietà è l’unica che può vincere il destino.
Ma non è un dono degli dèi, è una scelta. Una scelta che dobbiamo fare, ogni giorno, contro l’odio, contro la vendetta, contro l’indifferenza.

Ragazza
Confusa, ma toccata dalle parole.

La pietà… ma come posso scegliere? Come posso sfidare leggi, uomini, dèi?

Èschilo
Alzando il tono, indicandola con forza.

Perché sei ANTÌGONE, LA PORTATRICE DI PIETÀ.
Sei la voce di chi non si piega, sei il coraggio di chi sceglie ciò che è giusto, anche contro il mondo intero.

La ragazza si ferma, lo guarda con occhi sgranati. Il pubblico capisce solo ora chi è realmente. La tensione cresce, la musica inizia a salire lentamente, preparando il suo brano.

Èschilo
Più dolce, ma deciso.

Ora vai. Raccogli i corpi di chi ha sofferto, dona loro la pietà che gli uomini hanno negato.
E ricorda il messaggio…

Ragazza
Con voce tremante.

Il messaggio? Qual è il messaggio?

Èschilo
Guardandola intensamente, quasi sussurrando.

Che la pietà… può sconfiggere il destino.

La ragazza esita per un momento, poi si gira lentamente verso il palco. La musica si intensifica, preludendo al suo brano, mentre lei si prepara a raccogliere i corpi dei fratelli.

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Ascolta il nostro sospiro

(Coro)

Antìgone si inginocchia per raccogliere i corpi dei fratelli morti. Il coro, rappresentando le anime dei morti, si avvicina a lei. Anche se lei non può vederli, sembra percepire una presenza.

Coro

Antìgone, tu che vivi,
ascolta il nostro sospiro.
Noi vediamo il tuo dolore,
il tuo cuore che ammira.

I morti possono osservare,
compiangere chi rimane.
Ma i vivi sono ciechi,
non vedono queste lane.

Ma tu senti oltre il velo,
il richiamo della pietà.
Sei il ponte tra due mondi,
la speranza che verrà.

Ragazza
Sussurrando.

Sento una voce, un soffio leggero, come se qualcuno mi fosse davvero vicino.

Coro

Siamo noi, le anime perse,
che trovano pace nel tuo gesto.
La pietà è la chiave,
che spezza ogni funesto.

Antìgone alza lo sguardo, ispirata, e inizia la sua canzone. Il coro la accompagna, rappresentando il sostegno invisibile dei morti.

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La Pietà contro Destino – Finale

(Canzone)

Antìgone è sola al centro del palco. La luce la illumina mentre la musica parte. La sua voce è inizialmente grave, ma cresce in intensità, passando dal racconto dei Sette al messaggio della pietà che spezza il ciclo del destino.

Antìgone
Con tono grave.

Sette mura, sette porte, sette destini,
ognuno guidato da fili sottili.
Adràsto giurava, Tidèo bruciava,
Capanèo sfidava mentre il cielo osservava.
Polinìce marciava, Eteòcle restava,
e la guerra spezzava ciò che il cuore salvava.
Un cerchio di fuoco, una fiamma che brucia,
il destino che ordina, nessuno che rifiuta.

Sempre quello, il destino che preme,
un filo che scorre, una vita che teme.
Sempre quello, un cammino che cresce,
ma io scelgo la pietà, non chi ferisce.

Con tono più deciso.

Sette guerrieri, ciascuno un giuramento,
sette vite spezzate, sette lamenti.
Partenopèo sognava, Ippomedònte scalava,
Anfiarào vedeva, ma il destino lo legava.
Le mura gridavano, il sangue cadeva,
ogni passo un addio, ogni porta si chiudeva.

Non c’era scelta, nessuna speranza,
solo una danza che il fato avanza!

Sempre quello, il destino che stringe,
un nodo di ferro che il cuore dipinge.
Sempre quello, una scelta brutale,
ma io scelgo la pietà, non questo finale.

Con tono luminoso.

Sette porte si chiudono, sette fuochi caduti,
ma la pietà risveglia ciò che il fato ha distrutto.
Il filo si spezza, la catena si frange,
e la luce rinasce dove il buio si espande.

Non più guerra, non più morte, non più confini,
la pietà salva l’uomo dai suoi destini.
Il cerchio si apre, il cuore rinasce,
perché la pietà è un dono che tutto abbraccia.

Dopo questa strofa, le coppie tenendosi per mano e i personaggi emergono dal buio, formando un cerchio intorno ad Antìgone. Cantano seguendo il ritmo di “La pietà contro destino,” alternandosi al coro e culminando in un messaggio universale.

Nonna di Menoèceo

Sette frontiere divise, sette popoli in guerra,
ognuno difende la sua piccola terra.
Ma il sangue che scorre non conosce confini,
la pietà è il ponte tra i destini vicini.

Menoèceo

Sudàn e Darfur, le loro voci spezzate,
cercano pace, ma trovano porte serrate.
Nonna, io vedo la speranza nel cuore,
la pietà può curare ogni rancore.

Moglie di Capanèo

Sette terre contese, sette fuochi accesi,
Israele e Palestina, due popoli offesi.
Non più guerra, non più morte,
solo la pietà può aprire nuove porte.

Antìgone

Sempre quello, il ciclo di spezza,
la pietà trionfa, il destino disprezza.
Sempre quello, la luce si leva,
sette porte si aprono, il dolore si frena.

Capanèo

Io che sfidavo, pensavo fosse forza,
ma ora vedo che la pietà rimuove ogni scorza.
Sette vite intrecciate, non più separate,
trovate pace, e lasciate l’odio alle spalle.

Padre Vanaglorioso

Sette passi in Europa, sette guerre nascoste,
ognuno si difende, ma le ferite sono toste.
Ucraini e Russi, il loro filo è spezzato,
serve pietà per ricucire ciò che è stato.

Madre Sarcastica

Sette fronti nel mondo, sette terre che bruciano,
ognuno piange, ma pochi si abbracciano.
Non c’è gloria nel sangue, non c’è fine nel dolore,
solo la pietà può guarire il rancore.

Anfiarào

Sette visioni, sette segreti celati,
le guerre bruciano i sogni mai dichiarati.
Vedo terre lontane, vedo anime spezzate,
Afghanistan, Siria, storie mai raccontate.

Periclìmeno

Io ho combattuto, ma ho perso il mio nome,
tra mille battaglie, ho spezzato il mio cuore.
La pietà è la risposta, il destino si scioglie,
nessuna vittoria vale quanto chi ti accoglie.

Megàreo

Sette scontri in Afghanistan, sette grida in Yemen,
terre che bruciano sotto fuochi perenni.
Non c’è pace nei missili, né futuro nel dolore,
solo la pietà può riscaldare il cuore.

Sette passi in Congo, sette lacrime in Siria,
ognuno combatte, ma nessuno respira.
Io non voglio la guerra, né un destino segnato,
voglio spezzare il ciclo, ricucire il passato.

Eteòcle

Sette voci in Myanmar, sette ombre in Tigray,
io e te, Polinìce, due anime in guai.
Ci hanno spinti a combattere, ci hanno tolto il domani,
ma ora cerchiamo pace, tendiamo le mani.

Polinìce

Fratello, in Nagorno c’è sangue tra i monti,
e in Haiti la fame brucia i ponti.
Sette vite distrutte, ora sette promesse,
la pietà ci riscatta, ci unisce per sempre.

Tutti i personaggi e il coro

Sempre quello, il ciclo si spezza,
la pietà trionfa, e il destino disprezza.
Sempre quello, la luce si leva,
sette porte si aprono, e il dolore si frena.

Ripetuto due volte, in un crescendo. Alla fine, Antìgone canta da sola l’ultima frase, dolce ma decisa, mentre il palco si illumina completamente.

Antìgone
Con tono solenne.

Sempre quello, ma ora scegliamo,
il destino si piega, la pietà noi chiamiamo.

Le luci si abbassano gradualmente. Tutti i personaggi si avvicinano, uniti ad Antìgone, mentre il gomitolo rosso è disteso e teso al centro, simbolo del filo del destino spezzato ma riannodato dalla pietà.

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Chi Guida Chi?

La scelta e l’ombra

(Dialogo)

Il palco è immerso in una luce crepuscolare. Èschilo è al centro, osservando tutti i personaggi che hanno appena cantato Pietà contro destino. Si muove lentamente, come perso nei suoi pensieri, mentre il coro emerge dall’ombra, circondandolo con un canto sommesso. Il loro tono è ambiguo, a metà tra il rimprovero e l’ammirazione.

Èschilo

Antìgone ha scelto. Ha raccolto i suoi fratelli. Ha disobbedito agli uomini per seguire una legge più grande. Non c’è gloria nelle mura di Tebe. Non c’è onore nei campi di battaglia.
Ma nella pietà c’è pace. E nella pace, il vero trionfo.

Coro

Hai narrato il destino, hai intonato il canto,
ma chi ha scelto davvero, chi guida chi avanti?
Sei tu che scrivi, o siamo noi che parliamo?
Sei tu che conduci, o siamo noi che ti amiamo?

Il destino è una fiamma, un filo che brucia,
ma la pietà è una scelta, che il cuore conduce.
E tu, Èschilo, poeta, che cosa hai deciso?
Hai narrato una tragedia, o una strada divisa?

Èschilo alza lo sguardo, sorpreso dalle loro parole. Fa un passo verso il coro, confuso ma incuriosito.

Èschilo

Ho scritto ciò che vedevo, ho cantato ciò che sapevo, ho dato forma al destino, ho narrato l’inevitabile eco.
Ma ora mi parlate come se fossi un servo, o forse… siete voi la mia ombra, il mio verso?

Coro

E se fossimo noi la tua guida segreta?
E se fossimo le voci che il tuo cuore completa?
Hai pensato davvero di essere il maestro,
o sei solo un’eco, un attore nel testo?

Guarda Antìgone, il suo gesto non è scritto,
non è il fato, ma il suo libero grido.
E tu, poeta, hai scelto di farla parlare,
o è lei che ti spinge a lasciare il destino sfumare?

Èschilo
Vacilla, con voce più insicura

Ho sempre pensato di essere io a controllare tutto, di intrecciare i fili e dare forma al mio racconto. Ma ora, ascoltandovi, inizio a dubitare: sono davvero io il creatore, o siete voi a guidarmi?

Coro
Con tono più calmo, ma ancora enigmatico.

Non importa chi crea, chi scrive o chi parla,
ciò che conta è la scelta, ciò che salva o condanna.
La pietà non nasce dai cieli o dagli dèi,
nasce da chi vive, da chi soffre e crede.

Ma tu, Èschilo, poeta, che strada hai scelto?
Hai narrato una tragedia o un mondo già spento?
Hai voluto il dolore, l’eco del pianto,
o hai acceso una fiamma che brucia nel vento?

Èschilo si ferma, riflette profondamente. Guarda Antìgone, che ora sembra rappresentare più di un semplice personaggio: è una possibilità, una speranza. Si volta verso il coro, la voce decisa ma il sorriso ambiguo.

Èschilo
Con un tono enigmatico.

Forse voi mi avete guidato, o forse no. Forse io sono il poeta, e voi solo la mia eco.
O forse siamo entrambi strumenti di qualcosa di più grande, qualcosa che né io né voi possiamo comandare.
Ma se c’è una cosa che so, è questa: la pietà non è destino, non è scritta nei cieli. È una scelta, ogni giorno, un passo, un gesto, ed è lì che l’uomo vince, lì che il fato si spezza.

Coro
Con tono definitivo e universale.

E ALLORA DILLO, POETA, GRIDA LA VERITÀ:
NON È IL DESTINO CHE GUIDA, MA LA PIETÀ CHE FA!
Non siamo fili, non siamo ombre,
siamo voci di un canto che ogni uomo compone.

Chi scrive il futuro, chi disegna il cammino?
Non un poeta, non un dio, ma chi vive ogni mattino.
Il destino è un’eco, la pietà una fiamma,
e l’uomo la sceglie, o la spegne nella trama.

Èschilo si gira verso il pubblico, il sorriso enigmatico ancora presente. La luce si intensifica intorno a lui, come se finalmente avesse trovato una risposta, ma una risposta che lascia spazio al dubbio.

Èschilo

Avete ascoltato le mie parole, ma adesso spetta a voi agire. Non importa chi abbia scritto o chi abbia condotto il racconto. Il destino non è altro che un’ombra, mentre la pietà è una scelta concreta. Ogni giorno, ogni momento, sta a voi decidere di spezzare quei fili. La pietà è nelle vostre mani.

A voi la scelta!

Buio. Sipario.

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Canzoni

I sette destini (Prologo)
Le Moire, tessitrici del destino, introducono i temi centrali dell’opera: il ciclo della violenza e l’inevitabilità del fato. Cantano dell’intreccio di vite e promesse spezzate, utilizzando il filo rosso come simbolo del destino.

Le spade di legno
La nonna di Menoèceo ricorda il nipote da bambino, evocando il dolore della sua perdita e il sacrificio imposto dal destino. La canzone esprime il contrasto tra l’innocenza infantile e la brutalità della guerra.

Sei cenere, sei niente
La moglie di Capanèo, in un rap aggressivo, critica l’arroganza del marito e denuncia l’inutilità della gloria conquistata con la guerra, mostrando la rabbia e la disillusione di chi resta.

La gloria è una bugia
Anfiarào e Periclìmeno, dall’aldilà, riflettono sul fallimento delle loro vite eroiche e sull’inganno della gloria. Il rap alterna voci malinconiche e disperate, denunciando il costo umano della guerra.

La gloria non consola
Un padre esalta la gloria del figlio caduto in battaglia, aggrappandosi alle illusioni dell’onore e del sacrificio eroico. La madre, invece, lo smaschera con sarcasmo feroce, rivelando il vuoto lasciato dalla perdita e il dolore che la retorica non può colmare.

Se uccido chi sarò?
Megàreo, in un rap carico di rabbia e paura, riflette sulla vendetta e sulla scelta tra violenza e perdono. La canzone rappresenta il conflitto interiore di chi è costretto a combattere.

Maledetti dal destino
Eteòcle e Polinìce combattono una lotta figurata, rappresentata da un foulard rosso che simboleggia il legame fraterno e il destino ineluttabile. La loro morte reciproca è il culmine della tragedia.

La pietà contro destino
Antìgone e gli altri protagonisti affrontano il conflitto tra il fato implacabile e la possibilità di scegliere la compassione, opponendosi al ciclo della violenza e mostrando che la pietà può spezzare le catene imposte dal destino.
In una riduzione ad oggi, questa scena diventa un richiamo alla responsabilità individuale e collettiva di interrompere l’odio e la vendetta, suggerendo che anche nei conflitti moderni la compassione può offrire una via d’uscita dalla distruzione e dalla paura.

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Personaggi

In ordine di apparizione.

Le Moire. Tessitrici del destino, rappresentano il potere ineluttabile delle scelte umane, intrecciando e spezzando i fili delle vite con il loro canto profetico.

Èschilo. Narratore principale e guida della Ragazza, riflette sui temi del destino e della pietà, stimolando il pubblico a interrogarsi sul libero arbitrio.

Ragazza (Antìgone). Protagonista che evolve da spettatrice passiva a figura ribelle, scegliendo la pietà come arma contro il destino.

Coro. Commenta gli eventi e riflette sui temi centrali dell’opera, fungendo da ponte tra i personaggi e il pubblico.

Nonna di Menoèceo. Simbolo del dolore delle generazioni anziane, che vedono sacrificati i giovani in nome del destino.

Menoèceo. Giovane eroe che rappresenta il sacrificio volontario per la salvezza della città. Cerca invano di comunicare con la nonna.

Capanèo. Simbolo dell’arroganza umana, tenta di giustificarsi con la moglie ma rimane inascoltato.

Moglie di Capanèo. Voce critica e feroce contro l’arroganza del marito, rappresenta la disillusione verso la gloria della guerra.

Anfiarào. Profeta e guerriero, dall’aldilà riflette sui propri errori e sull’inutilità della gloria.

Periclìmeno. Guerriero trasformista, ora spirito inquieto, lamenta dall’aldilà la vanità delle guerre combattute.

Padre Vanaglorioso. Figura retorica che glorifica la morte del figlio, incarnando la vanità del nazionalismo e dell’ideologia bellica.

Madre Sarcastica. Smonta con sarcasmo le illusioni del marito, rappresentando il dolore autentico di chi perde un figlio.

Megàreo. Un giovane combattuto tra la sete di vendetta e il desiderio di spezzare il ciclo di violenza, simbolo di una generazione alla ricerca di riscatto e speranza.

Eteòcle. Re di Tebe e fratello di Polinìce, rappresenta l’incapacità di sfuggire al destino imposto dal potere.

Polinìce. Fratello esiliato che sfida il trono di Tebe, simbolo della distruzione familiare causata dall’ambizione.

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La tragedia antica e il grido moderno contro la guerra

Le tragedie greche hanno attraversato i secoli come specchi delle passioni e dei conflitti umani. Tra queste, Sette contro Tebe di Eschilo si distingue per la sua rappresentazione della lotta fratricida, del destino implacabile e delle conseguenze della guerra. Scritta nel 467 a.C., pochi anni dopo la vittoria di Salamina, l’opera rifletteva le tensioni di un’epoca segnata da guerre e instabilità. Eschilo, testimone diretto di questi eventi, trasformò la memoria storica e il trauma collettivo in una riflessione poetica sulla violenza e sull’impossibilità di sfuggire al fato.

Nella tragedia originale, la contesa tra Eteocle e Polinice diventa il simbolo di un conflitto che non lascia vincitori, solo macerie e lutto. È un ciclo di odio che si perpetua, un’eco che attraversa i secoli e che ancora oggi risuona nelle guerre contemporanee. Dai campi di battaglia dell’antichità ai moderni scenari di conflitto, il sacrificio di giovani vite e la distruzione di famiglie continuano a interrogare la nostra coscienza collettiva.

Viviamo in tempi di guerre diffuse, in cui i conflitti si moltiplicano e si trasformano, coinvolgendo nazioni, popoli e comunità in lotte che spesso sembrano prive di vie d’uscita. Le immagini di città devastate e di civili costretti a fuggire dalle proprie case sono diventate parte della nostra quotidianità, alimentando un senso di impotenza ma anche la necessità di reagire. In questo contesto, Sette a Tebe trova una nuova urgenza. Non è soltanto il racconto di un’antica disputa, ma una lente attraverso cui osservare le dinamiche della violenza contemporanea e le sue ripercussioni sulle generazioni future.

Questa reinterpretazione di Sette contro Tebe nasce dalla necessità di rispondere a quei quesiti, dando voce non solo agli eroi e ai morti, ma anche ai sopravvissuti. Attraverso dialoghi e testi musicali ispirati al rap, l’opera trasforma la tragedia classica in una narrazione moderna. Il rap, con il suo linguaggio diretto e crudo, diventa il mezzo per esplorare la rabbia, il dolore e il desiderio di giustizia dei protagonisti. Nata come espressione di protesta nei quartieri marginalizzati, questa forma d’arte contemporanea dà voce a chi lotta per essere ascoltato, proprio come i personaggi di questa tragedia.

Le Moire, custodi del destino, intrecciano e recidono i fili delle vite umane. Ma, attraverso la figura di Antìgone, l’opera suggerisce che il ciclo della violenza può essere spezzato: la pietà e la compassione diventano strumenti di ribellione contro un destino che sembra già scritto, offrendo uno spiraglio di speranza in un mondo segnato dai conflitti.

In un periodo storico in cui la guerra sembra essere tornata protagonista, questa tragedia rivisitata ci invita a fermarci e a riflettere. Qual è il costo reale della gloria? È possibile interrompere il ciclo della vendetta? Eschilo poneva queste domande già 2500 anni fa, e la nostra epoca continua a cercarne le risposte.

Con questa opera ho inteso fare incontrare antico e moderno, perché la voce della tragedia greca non si è mai spenta. Le domande di allora restano aperte, e oggi come allora, spetta a noi trovare risposte.

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