Sogno d’estate a Castel d’Argine Vecchio
Sinossi: il meccanismo delle iterazioni oniriche
Lo spettacolo si svolge nel Castel d’Argine Vecchio, a San Savinio al Luco, un borgo immaginario della Romagna, simile a molti altri eppure unico, incastonato tra rovine, fiume e fantasmi locali. È un luogo che sembra vero, ma ha qualcosa di inventato. O viceversa. Le stanze del palazzo si aprono come soglie dentro un sogno collettivo: saloni affrescati, corridoi spezzati, cantine, cortili, logge su cui la realtà comincia a piegarsi. E appena fuori, scorre il fiume Lamone, che attende silenzioso il risveglio – o il ritorno al sogno.
Sogno d’estate a Castel d’Argine Vecchio è una macchina scenica immersiva, un’esperienza teatrale itinerante che trasforma lo spettatore in pellegrino del sogno. Il pubblico non assiste: si muove, stanza dopo stanza, seguendo Puck in un viaggio sempre più instabile tra amore, parodia e metamorfosi. Dodici ambienti si aprono come scatole cinesi, ognuno contenente una variazione – o una deformazione – delle scene precedenti: gli scontri amorosi, le prove musicali disastrose, le gelosie tra fate e mortali si ripetono come motivi ossessivi, ma con dettagli che si frantumano, si contraddicono, si svuotano.
Il meccanismo del sogno – all’inizio riconoscibile e poetico – scivola progressivamente nel grottesco, senza mai diventare incubo, ma inquietando con il riso. I personaggi sbagliano battute, scambiano ruoli, rompono la quarta parete, dimenticano chi sono. Gli incantesimi agiscono a metà. Il filtro d’amore crea attrazioni improbabili. Le parole di Shakespeare tornano, ma come eco sbagliate da una memoria stanca.
E intanto, lo spettatore viene coinvolto: guardato, interrogato, spinto a partecipare. La finzione si sfilaccia e l’esperienza si fa corporea, corale, incerta. Fino all’ultima stanza: una festa sull’argine del fiume, all’alba. Gli attori danzano, gli spettatori danzano. Si ride, si brinda, si balla. Per un attimo, il teatro si scioglie nel rito, e sembra che tutto possa finire nella musica e nell’euforia.
Ma proprio allora compare Ammone, il dio del fiume: muto, imprevisto, enigmatico. Non parla. Guarda. E con quel solo gesto ricuce il confine tra sogno e realtà, come se l’acqua – immobile e riflettente – ci restituisse finalmente il nostro volto… ma appena deformato.
E così, come forse avrebbe potuto scrivere Shakespeare,
The dream is o’er, and yet we tread its echoing veil.
For what end may be named, if none hath stirred from sleep?
- Sogno d’estate a Castel d’Argine Vecchio
- I personaggi principali
- Accoglienza e ingresso nel sogno
- Il percorso nelle stanze e la ripetizione onirica
- Prima stanza: Il mondo delle fate introduzione
- Seconda stanza: Il caos musicale degli artigiani
- Terza stanza: L’incantesimo su Titania
- Quarta stanza: La confusione degli amanti prima iterazione
- Quinta stanza: Il mondo delle fate seconda iterazione, alterata
- Sesta stanza: Il caos musicale degli artigiani variazione
- Settima stanza: L’incantesimo su Titania ripetizione deformata
- Ottava stanza: La confusione degli amanti seconda iterazione, alterata
- Nona stanza: Il mondo delle fate ultima iterazione, stravolta
- Decima stanza – Gli amanti contro la scena
- Undicesima stanza – La dissoluzione del sogno post-sbornia condivisa
- L’uscita nel bosco e la transizione all’argine del fiume
- Sull’argine del fiume
- Conclusione
I personaggi principali
Puck: Folletto ambiguo e onnipresente, accompagna il pubblico nel sogno con ironia e malinconia. È l’unico a muoversi liberamente tra tutte le scene, consapevole della ripetizione e della finzione.
Titania: Regina delle fate, affascinante e imprevedibile. Incarna il desiderio e la disillusione, passando dalla grazia regale alla stanchezza grottesca. Il suo amore per Tugnàzz è il cuore deformato del sogno.
Oberon: Re delle fate, un tempo potente, ora stanco e spaesato. Cerca di mantenere autorità, ma la sua magia si frantuma in parodia. La sua guerra d’amore con Titania è fatta di nostalgie e incomprensioni.
Teseo: Principe di San Savinio al Luco, anfitrione della celebrazione. Rappresenta l’ordine, la ragione e l’apparenza, ma resta escluso dal nucleo emotivo del sogno. Riappare solo alla fine, come voce fuori tempo.
Ippolita: Compagna di Teseo, decisa e disillusa. Rifiuta la messa in scena nuziale, rompendo il gioco fin dal principio. La sua fuga è l’innesco del sogno.
Ermia
Giovane donna, passionale e determinata. Ama Lisia, ma viene travolta dal caos degli incantesimi. Attraversa le scene come una ribelle dolente.
Lisia: Innamorato di Ermia, tenero e confuso. È vittima degli incantesimi, ma anche delle proprie incertezze. Cerca l’amore come se cercasse una strada già smarrita.
Elena: Amica di Ermia, inizialmente respinta, poi bramata. Si muove tra rifiuto e desiderio, fino a diventare coscienza critica della finzione amorosa.
Demetrio: Conteso e incerto, ama in modo mutevole. I suoi gesti sono sinceri ma instabili. Non sa distinguere il sogno dal desiderio.
Gli Artigiani – Banda romagnola
Tugnàzz – Il capobanda improvvisato equivalente di Bottom: esuberante, egocentrico, sempre sopra le righe. Suona il tamburello e dirige gli altri.
Giuàn – Il chitarrista: metodico ma incapace, si prende troppo sul serio, ma non capisce nulla di armonia.
Pompeo – Il clarinettista: pieno di sentimento, suona con passione ma stona sempre. Pensa di essere un artista raffinato.
Alfòns – Il fisarmonicista: il più concreto, l’unico che sa davvero suonare qualcosa, ma è sempre frustrato dagli altri.
Belmìr – facoltativo, comparsa o aiutante: porta gli strumenti, commenta, sbaglia stanza, interviene ogni tanto con perle di saggezza contadina.
L’attrice nascosta nel pubblico
Interviene nella scena finale per rompere la quarta parete, dichiarando di essere “colei che vi sogna”. È il volto umano del meccanismo teatrale.
Ammone
Divinità del fiume Lamone, appare solo alla fine. Non chiede scuse, ma poesia. È la rivelazione sacra che chiude il cerchio, con una presenza muta e definitiva.
Accoglienza e ingresso nel sogno
Luogo: Atrio d’ingresso del Castel d’Argine Vecchio
Quadro 1: Il finto ricevimento
Luci calde, atmosfera conviviale. Musica strumentale soffusa, bicchieri, parole leggere. Alcuni attori, in costume, sono mescolati agli spettatori: brindano, commentano, fanno domande di circostanza. Non si distinguono dai veri ospiti. Parlano della serata, del palazzo, di una misteriosa celebrazione in arrivo.
Poco a poco, senza farsi notare, questi attori iniziano a sparire: uno dice che deve fare una telefonata, un’altra si allontana per recuperare un oggetto… Il pubblico si ritrova progressivamente solo, senza che nessuno abbia annunciato l’inizio dello spettacolo.
Quadro 2: Il succo di viola
Un cameriere mascherato – viso neutro, abito elegante e démodé – si avvicina a piccoli gruppi, portando su un vassoio una bottiglia scura con un’etichetta antica: “Succo di Viola”. La porge con fare cerimonioso ma ambiguo, e a ciascuno sussurra una frase diversa, come:
- “Attenzione. Chi beve… potrebbe innamorarsi della persona sbagliata.”
- “È un filtro raro. Amplifica il cuore. Disturba la ragione.”
- “Alcuni vedono fiori. Altri, fantasmi. A suo rischio.”
Chi assaggia riceve un sorriso enigmatico. Il cameriere scompare tra la folla. Tutto è ancora tranquillo, ma qualcosa è cambiato.
Quadro 3: L’interruzione: Teseo e Ippolita
D’improvviso, dal fondo della sala, si sente un tono di voce alterato. Entrano Teseo, il Principe di San Savinio al Luco, e Ippolita. Non sono ancora personaggi da sogno: parlano come persone vere, ma con un’energia drammatica. Litigano, si accusano.
Teseo:
Ippolita, ascoltami!
Non possiamo iniziare la festa così…
La gente ci guarda.
Almeno fingiamo per una sera.
Ippolita:
Fingere? È questo che chiedi?
Non inizierò nulla con te.
Non in questo palazzo. Non in questa notte.
Non con quel sorriso che sa già di addio.
Teseo:
Ti ho chiesto tempo, solo tempo.
Ma tu corri davanti a tutto.
Davanti alle parole, ai gesti… persino ai nostri invitati.
Cos’hai visto, stanotte, che ti ha fatto scappare così?
Ippolita:
Ho visto abbastanza.
La tua voce nei corridoi. Il tuo profumo sulle lettere che non erano per me.
Hai bisogno di una corte, non di una compagna.
Io… non ci sto.
Teseo:
Non è vero. Sei tu che hai paura.
Tu che sogni la libertà… ma la tieni legata come un falco.
Io volevo condividere questo sogno, Ippolita.
E tu lo hai trasformato in una fuga.
Ippolita:
No, Teseo.
Io non fuggo. Io scelgo.
E stanotte, scelgo di perdermi…
piuttosto che restare ferma accanto a te.
Ippolita esce con passo deciso. Teseo esita un istante, poi la segue.
Silenzio. Dal punto in cui sono usciti, appare Puck. Sorriso largo, occhi lucidi. Si guarda intorno. Apre le braccia.
Puck al pubblico:
Beh… è cominciato.
Se siete qui, non è più colpa vostra.
Le stanze si sono svegliate. I sogni hanno fame.
Fa un cenno teatrale verso le prime porte del palazzo, che si aprono lentamente.
Puck:
Venite. Ma a una condizione.
Quadro 4: L’oggetto simbolico
Degli assistenti consegnano a ogni spettatore una candela LED spenta. Puck la solleva davanti a sé.
Puck:
Questo non è per far luce.
È per far ombra.
Accendetela… e lasciatevi guidare.
Chi entra… sogna.
Chi sogna… dimentica.
E voi… cosa siete venuti a dimenticare?
Le luci nell’atrio si abbassano. Le candele si accendono. Il pubblico, in penombra, viene guidato verso la Prima stanza. Il sogno è iniziato.
Il percorso nelle stanze e la ripetizione onirica
L’itinerario si snoda attraverso dodici stanze, in cui le scene si ripetono con variazioni per creare un senso di spaesamento e ciclicità.
Prima stanza: Il mondo delle fate introduzione
Quadro 1: Lo scontro sospeso con danza
Titania entra sola. Tiene un velo dorato tra le dita. L’atmosfera è rarefatta, la musica è eterea, come sospesa tra sogno e memoria.
Titania al pubblico o al velo:
Quanto è bello dormire quando il bosco tace.
Tra muschio e fiato d’erba, lui rideva…
Il mio paggio, la mia rondine d’oriente.
Sognava in silenzio. Come facevi tu, un tempo.
Oberon appare alle sue spalle. La musica cambia leggermente. La sua voce è un sussurro nel buio.
Oberon:
E sognavi anche tu, mia regina.
Ti ricordi? La notte della nebbia dolce…
Quando danzavamo, stretti,
e il cielo ci spiava tra le fronde?
Titania si volta. Sorride con malinconia. Lo sfiora con lo sguardo.
Titania:
Non ho mai smesso di ricordare.
Ma tu…
hai smesso di guardare.
La musica si fa più intensa. Oberon le porge una mano. Lei esita, poi la prende. I due iniziano una danza lenta, circolare. Non è una danza d’amore, ma di nostalgia. Si toccano appena, si rincorrono, si sfuggono. Titania si lascia guidare, poi impone il passo. La tensione cresce.
Oberon sussurrando durante la danza:
Era così.
Tu eri il vento e io il ramo piegato.
Ma ora…
ora pretendi di danzare sola?
Titania si stacca, all’improvviso:
Non sola. Libera.
E questo paggio…
è il mio passo leggero,
che tu non potrai mai inseguire.
Lei si allontana. La musica si spegne lentamente. Oberon resta solo, il fiato corto, il desiderio ancora vivo.
Oberon al pubblico:
Ella ha voluto guerra…
e guerra le sarà data.
Quadro 2: L’alterco esplode
Luci più nette, musica spezzata. Titania e Oberon si fronteggiano ai due lati della stanza, come se lo spazio si fosse improvvisamente irrigidito. Il pubblico è tra loro.
Oberon:
Ti vanti di libertà, Titania,
ma sei prigioniera del tuo capriccio.
Un fanciullo ti comanda il cuore,
e il tuo re non può sfiorarlo.
Titania fredda, ma fiera:
Un re che reclama ciò che non gli appartiene
non è re, ma tiranno.
Quel bambino ha occhi limpidi,
più del tuo orgoglio, più delle tue promesse.
Oberon:
Ah! E le tue promesse, che fine han fatto?
Quando giacevi tra i miei sospiri,
e mi chiamavi notte e respiro…
era capriccio anche quello?
Titania:
No, era verità.
Ma tu… tu l’hai smarrita inseguendo sirene di corte,
ballerine dai piedi leggeri e cuori vuoti.
Oberon si avvicina con forza controllata:
Io ti volevo intera,
non divisa tra danze, giardini e fanciulli cresciuti ai tuoi piedi.
Titania alzando il tono:
E io volevo un compagno, non un sorvegliante!
Tu non ami: tu pretendi.
Silenzio. Si guardano a lungo. Il pubblico avverte la rottura.
Titania più piano, come una lama:
Non sei tu che danzi nel mio sogno stanotte.
Se vuoi guerra… che sia sogno contro sogno.
Lei si allontana decisa. Oberon la guarda uscire. Respira a fondo. Si volta verso l’ombra e chiama.
Oberon:
Puck. Vieni.
Ho bisogno del tuo inganno più lieve.
Quadro 3: Il comando segreto
Luci basse, quasi ferme. Il pubblico è raccolto intorno a Oberon. La stanza è mutata: sembra vuota, come dopo una tempesta. Si sente solo il frinire lontano. Oberon si muove lentamente, parlando a se stesso e agli spettatori.
Oberon:
Ella ha scelto lo scontro.
Ha danzato con il veleno sotto la lingua.
E allora… lasciamo che sogni.
Si ferma. Cambia tono. Ora è più morbido, persuasivo.
V’è un fiore, cresciuto dove Cupido pianse,
colpito da una freccia che sbagliò bersaglio.
Un fiore piccolo, d’un viola profondo…
chi ne riceve il succo sugli occhi dormienti,
s’innamora di ciò che vede al risveglio.
Non importa il volto. Basta lo sguardo.
E l’amore…
diventa confusione, gioco, follia.
Dall’ombra, con una capriola o un gesto strano, arriva Puck. Sorriso largo, occhi furbi.
Puck:
Mi chiamavi, mio re?
Ho orecchie in ogni foglia,
e piedi che non lasciano impronta.
Oberon sorridendo, ma con intenzione:
Ho bisogno della tua corsa.
Vai. Ruba quel fiore alla notte.
Portamelo prima che la luna muti volto.
Lo poserò sugli occhi di Titania.
E al risveglio… amerà ciò che non deve.
Puck gioioso, inclinando il capo:
Una regina innamorata d’un mostro?
O di un sasso?
O di un canto stonato?
Che delizia!
Oberon:
Sì, delizia. Ma silenziosa.
Agisci in fretta. Il sogno deve stringersi
prima che la realtà bussi.
Puck inchinandosi teatralmente:
Sarà fatto.
Scivolerò tra le foglie come un pensiero dimenticato.
Quando torno… l’amore sarà cieco.
Puck scompare. Da lontano cominciano a sentirsi suoni metallici e stonati, come strumenti suonati male: inizia la transizione verso la seconda stanza.
Seconda stanza: Il caos musicale degli artigiani
Quadro 1: Introduzione alla prova
La scena si apre con gli artigiani già presenti. Tugnàzz entra in ritardo. In giro: chitarra mal accordata, fisarmonica che sbuffa, clarinetto appoggiato su una sedia. Tamburelli ovunque. Il pubblico entra nel caos crescente.
Alfòns fisarmonicista, infastidito:
Oh Giuàn, ma quand l’è che t’impari a contare i battiti?
Siamo qui da venti minuti e il tuo tempo è ancora in ferie.
Giuàn chitarrista, offeso:
Guarda che io suono col cuore, non col metronomo!
È che il cuore oggi batte un po’ strano… sarà il caldo.
Pompeo clarinettista, sognante:
Io invece sento l’ispirazione.
Stanotte ho sognato di suonare davanti alla luna.
Lei piangeva.
Come quella volta al matrimonio a San Pancrazio…
ma lì, dicevano, piangeva dallo spavento.
Alfòns secco:
Sì, e il parroco s’è messo i tappi.
Entra Tugnàzz, tamburello in mano, aria da condottiero.
Tugnàzz:
Banda mia! Fratelli di suono e di gloria!
È arrivato il momento di alzare il livello!
Stanotte si suona per le nozze del Principe di San Savinio al Luco!
E se anche faremo tremare i vetri… sarà per l’emozione!
Giuàn:
O per le stecche.
Pompeo:
O per le urla della sposa.
Tugnàzz ispirato:
Allora!
Fisarmonica, preparati a volare.
Chitarra, non ti scordare.
Clarinetto… fai quello che puoi.
E al mio tre… si parte!
Alfòns sottovoce:
L’ultima volta al suo tre è saltata la corrente.
Tugnàzz con solennità:
Uno… due… otto.. TRE!
Partono. Il risultato è disastroso: la chitarra cambia accordo a metà battuta, il clarinetto strilla come una sirena, la fisarmonica sbuffa, i tamburelli vanno ciascuno per conto proprio. Il pubblico ride. Tugnàzz continua imperterrito a battere il tempo con enfasi teatrale.
Pompeo:
Scusate… il mio clarinetto ha tossito.
Giuàn:
Io stavo provando un’accordatura sperimentale.
Alfòns:
E io stavo pensando di cambiare mestiere.
Tutti si fermano. Silenzio. Tugnàzz resta l’unico in movimento. Poi si accorge.
Tugnàzz esaltato:
Cos’è? Perché vi fermate? Era perfetto!
Alfòns:
Perfetto se volevi far scappare le fate.
Pompeo:
Io un po’ mi sono commosso. Ma forse era l’ansia.
Tugnàzz al pubblico:
Ascoltate!
L’arte… l’arte vera… non chiede permesso!
L’arte è disordine col cuore in mano!
Si inchina. Gli altri lo guardano con pietà. In quel momento, si sente un fruscio alle spalle. Un’ombra rapida. Qualcosa si muove tra le tende.
Quadro 2: Il tocco di Puck
Gli artigiani stanno finendo le prove. Alfòns scuote la fisarmonica, Pompeo pulisce il bocchino del clarinetto con una manica, Giuàn accorda a orecchio con aria assorta. Tugnàzz passeggia a grandi falcate tra loro, come un direttore d’orchestra immaginario.
Tugnàzz
Va meglio! Va molto meglio!
Un altro giro e sembriamo l’Orchestra Cherubini col Maestro Muti…
al Ravenna Festival, dentro Sant’Apollinare in Classe!
Pompeo
Sei sicuro?
Io sentivo dei gatti.
Alfòns
Anche il gallo ha smesso di cantare, per non sbagliare tonalità.
Entra Puck, da una porta o da sotto un tavolo, con passo leggero e sguardo curioso.
Puck (teatrale)
Oooh… musica!
Arte viva, calda, sudata e un po’ stortignaccola!
Gli artigiani si voltano, incerti.
Giuàn
Ma questo chi è?
Puck
Uno che ha sentito delle prove… e spera che fossero prove.
Tugnàzz
E tu chi sei per giudicare?
Puck (con inchino esagerato)
Uno spettatore…
col naso buono…
e l’orecchio sveglio.
Si avvicina al centro. Si guarda attorno, come se annusasse l’aria.
Puck
Dai, su.
Fatemelo sentire, il vostro capolavoro.
La vera canzone.
Quella che si canta quando si vuol far piangere una mucca e sposare un principe.
Tugnàzz (gonfio d’orgoglio)
Siamo pronti.
Signori… in posizione!
Gli artigiani si dispongono. Tugnàzz solleva il tamburello con solennità. Inizia la canzone d’amore contadina: dolce, goffa, sincera. La eseguono con tutto l’impegno del mondo.
Versione 1 – Canzone d’amore contadina
Strofa 1
L’è bella la sposa, lei porta la gonna,
lei canta coi grilli la sera al ruscello.
La pettina il vento, che pare una madonna,
la guarda un pastore e si leva il cappello.
Ritornello
Sposina gentile, sposina pulita,
ti portan le stelle la notte infinita.
Ti canta la luna, ti veglia il bucaneve,
tu sogni e sorridi… e il cuore lo beve!
Strofa 2
Lei danza coi piedi nudi nella menta,
le trecce le scendono giù fino al petto.
Se ride, la fontana canta contenta,
e il gallo la segue con passo perfetto.
Ritornello
Sposina gentile, sposina pulita,
ti portan le stelle la notte infinita.
Ti canta la luna, ti veglia il bucaneve,
tu sogni e sorridi… e il cuore lo beve!
Strofa 3
La veste di lino le sfiora le dita,
cammina lieve sull’erba tagliata.
La vede il campanile che pare in salita,
e suona per lei come fosse sposata.
Ritornello
Sposina gentile, sposina pulita,
ti portan le stelle la notte infinita.
Ti canta la luna, ti veglia il bucaneve,
tu sogni e sorridi… e il cuore lo beve!
Strofa 4
Sul letto di paglia si posa la sera,
e un sogno le scivola piano sul viso.
La nonna la chiama: “Tu sei primavera!”,
e lei si nasconde con tutto il sorriso.
Strofa 5 (parlata/cantata)
L’è poesia sincera, con l’orto vicino.
Se il Principe la sposa… io offro il vino!
Alla fine del canto, silenzio. Puck li guarda. Fa un applauso lento, come stesse assaggiando un brodo insipido.
Puck
Bellina.
Delicata.
Un sogno fatto di erba bagnata e occhi da pecora innamorata.
Pausa. Poi li guarda serio.
Puck
Ma io…
ho bisogno di qualcosa con più… zoccolo.
Si gira verso Tugnàzz, lo squadra. Sorride. Si avvicina e, con un gesto improvviso e teatrale, gli infila la testa d’asino.
Gli altri artigiani sussultano.
Pompeo (sottovoce)
L’ha toccato.
Adesso parte la magia.
Alfòns
Gli ha fatto la testa… come la suona.
Giuàn
Tugnàzz… c’hai due orecchie che fanno ombra!
Tugnàzz (non si accorge di nulla)
Ma che avete da ridere?
Io sento l’ispirazione salire dalla nuca!
(Col tamburello in mano.)
Sento… un’altra strofa!
Puck, soddisfatto, fa una capriola all’indietro. Si rivolge al pubblico.
Puck
Adesso sì…
la canzone è pronta per far girare la testa a una regina.
Ride. Scompare.
Quadro 3: Le prese in giro
Tugnàzz è al centro, tamburello in mano, gonfio d’orgoglio. Si pavoneggia con movenze un po’ goffe. La testa d’asino è evidente, ma lui non se ne accorge.
Tugnàzz
Avete sentito?
Lì dove suonava la banda…
ora canta il destino!
Pompeo (sottovoce a Giuàn)
…o raglia il bestiame?
Alfòns (cercando di restare serio)
Tugnàzz… ti sento cambiato.
Hai una nuova presenza scenica.
Giuàn (malizioso)
Sì, sì. Hai un portamento… equino.
Tugnàzz
È l’emozione, ragazzi.
L’arte mi ha posseduto.
È salita in me come una cavalla in corsa.
Pompeo
Ci credo. Le orecchie sono già in fuga.
Alfòns (più diretto)
Ma dimmi, Tugnàzz…
da quando fai le prove al maneggio?
Tugnàzz (ispiratissimo)
Mi sento… nobile.
Un po’ poeta. Un po’ destriero.
Giuàn
Destriero sì…
di quelli col carretto del letame!
Pompeo (ridendo)
Sta attento che con quel muso
Titania ti scambia per un sogno.
Tugnàzz (confuso)
Titania?
La regina delle fate?
Alfòns
Certo. Ha gusti particolari.
Giuàn (sorridendo al pubblico)
D’altronde… l’amore è cieco.
Ma mica sordo!
Pompeo (serio, come se fosse un complimento)
Tu… hai qualcosa di mitologico.
Tugnàzz (compiaciuto)
Davvero?
Pompeo
Sì.
Tipo… un centauro.
Ma solo la parte sbagliata.
Tugnàzz (alzando il tamburello)
Zitti, profani!
Io ora canto!
Si prepara a lanciare una nuova strofa, ma in quel momento… si sente un richiamo etereo, una nota sospesa.
Gli artigiani si zittiscono. Una voce lontana, femminile, sognante.
Voce di Titania (fuori scena)
Questo profumo… che sale dal bosco.
Che fruscia tra i rami… e mi chiama.
Dove sei?
Gli artigiani si voltano piano verso Tugnàzz. Silenzio. Poi una risatina.
Alfòns (sottovoce)
Eh, lo dicevo io…
Giuàn (a bassa voce)
Si sta per innamorare del nostro somaro.
Tugnàzz li guarda, confuso.
Tugnàzz
Che c’è?
Cos’avete da sogghignare?
Pompeo (serio)
Tugnàzz…
Ti sei mai guardato… allo specchio?
Luci in dissolvenza. Parte una musica incantata. Inizia la transizione verso la terza stanza, quella dell’incantesimo su Titania.
Terza stanza: L’incantesimo su Titania
Quadro 1: Il sonno di Titania
La stanza è immersa in una penombra dorata. L’eco del canto di Tugnàzz si dissolve. Titania entra danzando piano, come se stesse seguendo un profumo. Indossa un velo leggero, si muove come in sogno.
Titania sottovoce, come parlasse ai fiori:
Questo profumo… che sale dal bosco.
Che fruscia tra i rami… e mi chiama.
Non è vento. Non è voce.
È qualcosa che ride… e vuole essere guardato.
Si sdraia su un tappeto di muschio e stoffe, rivolta verso l’alto.
Dormo,
ma lascio socchiusa la porta del cuore…
perché vi entri la follia,
se porta corone di fiori.
Pausa. Silenzio. Dalle ombre compare Oberon, in silenzio. Osserva Titania con sguardo malinconico. Parla al pubblico, con tono incantatorio.
Oberon:
Ella sogna.
E nel sogno crede di vedere.
Ma ora vedrà ciò che non dovrebbe.
Un’erba caduta dalla freccia d’Amore,
cresciuta dove il desiderio inciampa.
Si avvicina, solleva appena le palpebre di Titania. Versa una goccia invisibile da una fiala o da un fiore.
Sul tuo occhio, Regina,
cade la sorte dei cuori leggeri.
Che l’amore ti colga…
al risveglio.
Si allontana senza rumore. Titania resta immobile, le mani abbandonate. Si sente un fruscio lontano. Fine quadro.
Quadro 2: Il risveglio e l’innamoramento versione estesa e ridicola
La luce si fa calda, irreale. Titania apre gli occhi lentamente. Entra Tugnàzz, raschiandosi la gola, tamburello in mano, ancora con la maschera d’asino. Cammina cauto, sgranocchiando qualcosa, forse una foglia o un pezzo di pane.
Tugnàzz tra sé:
Oh, che silenzio…
Si vede che l’han finita la musica.
Magari c’è rimasto un boccone, un’uvetta…
Ahi! Ma che letto è questo? Tutta stoffa e fiori… pare la vetrina della sarta.
Titania si muove. Lo guarda. Si solleva lentamente come in trance. Tugnàzz la nota e si blocca.
Tugnàzz:
Oh scus’… scusam’eh!
Non volevo disturbare. Pensavo fossi… vegetale.
Titania con voce bassa e estatica:
Chi sei, creatura dell’alba?
Un dio caduto nel fieno?
Un messaggero delle stelle?
Un miracolo con il muso morbido?
Tugnàzz toccandosi la faccia:
Morbido sì… ho la pelle delicata.
Ma non sono un miracolo. Sono… sono in prova!
Titania avvicinandosi, innamorata:
Mai vidi un profilo così… così…
così… come dire… sorprendentemente equino!
Quelle orecchie… mi chiamano!
Tugnàzz coprendosele:
No, ti prego! Mi si infiammano coi complimenti!
Titania:
Tu, che sembri scolpito da Vulcano ubriaco,
fammi tua regina… dammi la tua zampa!
Tugnàzz:
Zampa!? Ma questa è mano! È mano operativa!
Io batto il tamburello con questa!
Titania:
E allora battilo sul mio cuore, tamburino mio!
Fammi danzare sul tuo ritmo selvaggio!
Tugnàzz:
No, guarda, che io il ritmo l’ho perso alle medie!
Titania accarezzandogli il collo:
Oh muschio vivente…
posso stendermi su di te come su un prato d’estate?
Tugnàzz allontanandosi con piccoli passi:
Io ho la schiena fragile!
E anche una leggera scoliosi da sollevamento sacchi!
Titania:
Fuggire non serve. L’amore ha già marcato il tuo recinto!
Tugnàzz:
Allora io valico la staccionata!
Titania lo insegue con passo morbido ma deciso.
Titania:
Aspetta! Ti preparo un letto di felci!
Una zuppa di gemiti!
Un cuscino d’abbandono!
Tugnàzz fuggendo:
Io voglio solo un panino col salameeee!
Titania lanciando un ultimo verso:
Ti seguirò, meraviglia su quattro appoggi!
Tugnàzz, mio sole… mio cardo… mio puledrino selvaggio!
Esce. Titania lo segue, cantando parole senza senso d’amore.
Quadro 3: Il presagio degli amanti
La stanza è vuota. Titania e Tugnàzz sono appena usciti. Rimangono cuscini calpestati, fiori schiacciati, un tamburello abbandonato. Il pubblico è lasciato per un attimo solo nel silenzio. Poi… lentamente… iniziano i suoni. Si ode un respiro affannato. Una figura femminile compare nel buio, a piedi nudi, con l’abito spiegazzato. È Elena.
Elena guardando intorno, smarrita:
Lisia?
Lisia… parlami.
Perché corri, se io ti seguo?
Dall’altra parte della stanza, entra Demetrio, con la camicia slacciata, viso tirato.
Demetrio senza vederla:
Elena!
Perché sempre dietro a me?
Io ti fuggivo… ma ora mi manchi.
Non si incontrano. Escono da lati opposti. Entrano altre due figure: Ermia e Lisia, ma anche loro non si vedono tra loro.
Ermia cammina avanti e indietro:
Demetrio?
Era lui… o era Puck?
O era solo il mio cuore che batteva più forte?
Lisia fermo, come se sentisse una voce:
Ermia?
Dove sei? Ti ho sognata sotto una pianta…
ridevi… ma non era per me.
Le voci si sovrappongono.
Elena fuori scena:
Io non so chi cercare più!
Demetrio fuori scena:
Né chi sto amando adesso…
Ermia da un angolo:
E se fossi io il sogno di un altro?
Lisia guardando il pubblico:
O se fosse tutto… uno scherzo?
Appare Puck, in alto o in ombra. Sorride. La sua voce è chiara, ambigua, musicale.
Puck al pubblico, con complicità:
Che si cerchino.
Che si sfuggano.
Che si guardino… e non si riconoscano.
Puck cammina con passo leggero, quasi danzante. Guarda verso il punto dove sono usciti gli amanti, poi si volta verso il pubblico. Sorriso storto.
Puck al pubblico, come confessando:
A volte l’amore scappa…
A volte insegue…
Ma non sempre riconosce il profumo giusto.
Si avvicina a uno spettatore, lo guarda fisso.
Tu… tu hai mai amato chi non ti vedeva?
Poi a un altro.
E tu? Hai mai confuso una passione… con un riflesso?
Gira lentamente attorno al pubblico.
Se vi perdesse chi vi cerca…
e vi cercasse chi vi perde…
non sarebbe più semplice, vero?
Ride piano.
Ma il sogno non è fatto per semplificare.
Si ferma al centro. Fa un gesto con la mano: il silenzio. Poi, con tono improvvisamente serio.
E se ora… anche voi foste dentro?
Se la stanza fosse parte del bosco…
E la notte non finisse, finché non vi riconoscete?
Pausa. Cammina ancora. Si ferma accanto a uno spettatore e gli porge qualcosa – una foglia, un nastro, un fiore finto – come segno.
Tienilo. Forse ti servirà…
più avanti.
Guarda tutti.
Seguitemi.
Gli amanti stanno per inciampare nei loro nomi.
Puck esce per primo, portando con sé la luce. Il pubblico è invitato a seguirlo. Luci calano. Le ombre si disperdono. Si apre la via verso la stanza successiva.
Quarta stanza: La confusione degli amanti prima iterazione
Quadro 1: Il disordine dei cuori
Il pubblico passa nella stanza successiva, guidato da Puck.
Puck al pubblico, con tono da chi si diverte:
Eccoli.
Quattro cuori, otto gambe, e nemmeno un cervello a far da bussola.
Un incantesimo qua, uno là…
e l’amore corre… ma non sa dove.
Si allontana con un balzo. Entra Elena, trafelata, si guarda intorno.
Elena:
Lisia!
Lisia, per favore… torna indietro!
Perché mi guardavi così, prima?
Era uno scherzo? Un errore?
Compare Lisia. La vede. Si ferma. La guarda con dolcezza.
Lisia sorridendo, sotto incantesimo:
Elena… oh Elena.
I miei occhi ti hanno vista solo ora.
Ermia è fumo. Tu sei fuoco.
Voglio ardere, anche se mi brucio.
Elena sconcertata:
…che dici?
Non è divertente.
Tu ami Ermia.
Tu ami—
Entra Ermia, dietro. Sente solo le ultime parole.
Ermia:
Ama chi?!
Chi ama chi, adesso?
Lisia si volta, tende una mano a Elena. Ermia lo guarda gelida.
Ermia secca:
Tu stai tendendo la mano… a lei?
A LEI?
Prima che qualcuno risponda, irrompe Demetrio. Guarda Elena.
Demetrio esaltato:
Elena!
Io ti ho inseguita, ma non lo sapevo.
Ho baciato sogni falsi, ora vedo te.
Elena disperata:
Ma che vi prende?!
Prima nessuno mi voleva. Ora tutti?
Vi siete messi d’accordo per farmi impazzire?
Ermia si gira verso Elena, gelida.
Ermia:
Tu…
Hai rubato anche il mio Lisia?
Elena:
Io?
Ma sei tu che ti sei messa tra me e Demetrio!
I due ragazzi si avvicinano, ora uno accanto a Elena, uno davanti.
Lisia:
Sei bella come l’alba, Elena.
Demetrio:
Tu sei la mia notte, Elena.
Elena si guarda attorno, come se fosse in trappola.
Elena gridando:
Fermatevi!
Non è amore. È una recita!
È uno scherzo! È Puck!
Tutti si voltano. Ma Puck non si vede.
Puck sporgendosi dallo stipite della porta, voce che aleggia:
Sssst…
Continuate pure.
È il cuore che scrive la trama…
ma io firmo le battute.
Quadro 2: Le inversioni e le accuse
La scena riprende immediatamente. Elena è circondata dai due ragazzi, mentre Ermia li guarda sconvolta. Le due ragazze si affrontano. Il pubblico li osserva da vicino, quasi invaso da questo groviglio emotivo.
Ermia:
Hai preso tutto.
Prima ridevano di te. Ora ti adorano.
Complimenti, Elena. Hai imparato a piangere con grazia!
Elena furiosa:
Io non ho fatto nulla!
Non posso impedire che mi guardino!
E poi… tu ti credi così pura?
Tu… che ti metti in mostra con quei fiori e quella vocina da fata?
Ermia scatta avanti:
Che hai detto?!
Elena si scansa:
Non toccarmi!
Mi fai paura quando stringi i pugni così!
Lisia intervenendo:
Non alzare la voce con Elena!
Demetrio:
O toccala… e farai i conti con me!
Ermia:
Ah sì?!
E voi due, ora siete cavalieri per la stessa dama?
Perché non vi battete come due veri cretini?
Elena sul punto di piangere:
Io me ne vado.
Voglio solo uscire da questo incubo.
Riportatemi nel sogno in cui nessuno mi vedeva!
Lisia e Demetrio si fronteggiano.
Lisia:
Io la amo più di te!
Demetrio:
Io l’ho amata per primo!
Lisia:
Io la seguirò ovunque!
Demetrio:
Io morirò per lei!
Pausa. I due si fissano.
Lisia improvviso:
Tra l’altro mi hai copiato il gilet!
Demetrio:
L’hai comprato dopo che l’ho preso io!
Si afferrano per il petto. Inizia un goffo corpo a corpo. Le ragazze li separano a fatica.
Ermia:
Siete ridicoli!
Elena:
Siete bambini!
Dal fondo si sente un suono metallico: Puck ha fatto cadere qualcosa. Tutti si voltano. Ma non c’è nessuno.
Voce di Puck ovattata, distante:
Gli amanti…
sono corde tirate in direzioni sbagliate.
Quando si spezzano, suonano.
Silenzio. I quattro restano fermi. Ognuno guarda qualcuno che non lo guarda.
Quadro 3: La stanchezza e la fuga
I quattro amanti restano immobili per qualche secondo. Il respiro affannato. Nessuno parla. Solo un frinire lontano, un battito d’ali.
Elena sussurrando, esausta:
Non voglio più essere amata.
Voglio… voglio una fontana. E dormire dentro.
Lisia sedendosi per terra:
Io mi siedo.
Non perdo l’onore… perdo l’equilibrio.
Demetrio dondola:
Non so se amo, ma ho i crampi.
Ermia piano:
Io sto zitta.
Che tanto non mi ascolta nessuno.
Puck riappare, ma solo per il pubblico. Gira tra gli amanti, li guarda come marionette sfiancate. Li sfiora appena con un ramo o una piuma. Parla in tono fiabesco.
Puck al pubblico:
Si rincorrono…
si confondono…
si scontrano…
e poi si fermano.
Come i bambini al crepuscolo.
Non capiscono perché piangono…
ma si addormentano uguale.
Uno alla volta, gli amanti si accasciano. Chi abbracciando un tronco finto, chi con la testa sul tamburello di Tugnàzz rimasto lì.
Demetrio mezzo addormentato:
Se sogno… voglio almeno un cuscino.
Elena parlando nel sonno:
Ma che è… un gilet… uguale al suo?
Ermia:
Se mi sveglio con lui… lo pesto.
Lisia ronfando:
Elena, vieni a ballare nel fieno…
ma porta i sandali…
Silenzio. Tutti dormono. Puck si avvicina al centro.
Puck sottovoce:
Ora… che le parole si sono annodate…
possiamo sciogliere il filo.
Oppure…
tirarlo ancora un po’.
Un piccolo suono – forse una campanella lontana – chiude la scena. Il pubblico è guidato verso la stanza successiva.
Quinta stanza: Il mondo delle fate seconda iterazione, alterata
Quadro 1: La danza capovolta
La stanza è la stessa della Prima, ma tutto è rovesciato: i tessuti sono stropicciati, le luci più basse, i fiori appassiti. Titania e Oberon entrano dagli estremi opposti. Indossano gli stessi abiti della Prima stanza, ma ora sono spiegazzati, indossati al contrario, sbottonati. Oberon ha una scarpa e una ciabatta, Titania ha una ghirlanda che le cade sugli occhi.
Titania trascinando un velo stropicciato:
Quanto è bello dormire… quando nessuno russa.
Tra cuscini bucati e fiato di cerbiatto…
il mio paggio…
il mio… chi era già?
Oberon entra, trascinandosi un mantello impolverato, che sbatte contro gli angoli. Tono teatrale, ma stanco.
Oberon:
E sognavi anche tu, mia regina,
quando mangiavi prugne acerbe…
o ballavi coi piedi storti?
Titania lo guarda come a dire “ma sei serio?”. Si voltano attorno, sembrano non trovarsi, poi Oberon si rivolge al pubblico.
Oberon indicando uno spettatore-attore nascosto:
E tu, messere… ditemi: a chi dareste voi il cuore,
alla regina del bosco o a un capretto spelacchiato?
Lo spettatore risponde: “Alla regina, certo. Ma dipende dall’umore…”
Titania scattando:
Come sarebbe a dire dipende?!
Dipende da cosa?! Dal meteo? Dal ciclo lunare?
O dalle orecchie del capretto?
Si avvicina allo spettatore, lo squadra, lo provoca.
Titania:
Avanti, dite ancora qualcosa.
Vediamo se riuscite a infilarvi anche nei miei sogni sbagliati!
Oberon si gratta la testa, cerca di riattirare l’attenzione.
Oberon:
Non volevo… cioè… l’interazione col pubblico era prevista, ma…
Titania alzando la voce:
Lo sapevo. Una cospirazione. Una rivolta del loggione!
Si gira. Lo guarda. Poi fa un passo. Tira su il velo. Cambia tono: suadente e grottesco.
Titania:
Vuoi danzare, mio Re?
Con le ciabatte e la camicia sbottonata?
Danzami la fine di un amore mal stirato.
Oberon le porge la mano, ma inciampa. La danza comincia: goffa, scomposta, si girano in senso opposto, si pestano. Titania ride forte, lo solleva per un braccio e lo lascia cadere.
Titania allontanandosi:
Che danza, che poesia… che scempio!
Si sfila una scarpa e la lancia verso lo spettatore, che la raccoglie. Esce. Oberon resta solo, stordito, ansimante.
Quadro 2: L’alterco grottesco
Titania rientra in scena all’improvviso. Riprende scarpa in mano, strappandola allo spettatore. Oberon la guarda con prudenza, ancora a terra. Il pubblico si trova in mezzo a loro, come nella versione originaria, ma i toni ora sono distorti.
Titania:
Ah, eccoti ancora lì!
Sparpagliato come una tovaglia dopo la sagra!
Hai danzato? Hai fatto la tua figura?
Ora alzati… che mi tocca litigare coi tappeti.
Oberon rialzandosi con lentezza:
Mi vanto di nulla, Titania.
Ma almeno io… non parlo col paggio anche nei sogni.
Quel bambino… l’hai visto? Una volta rideva.
Ora ti guarda come guarda la gente in posta:
senza speranza.
Titania sbattendo la scarpa per terra:
Non osare nominare il mio paggio!
Ha più grazia in un sopracciglio
che tu in tutto il tuo mantello stropicciato!
Oberon alzando un dito, solenne:
Un mantello stropicciato…
ma ancora degno d’un re!
Non come le tue ghirlande: appassite, sbilenche…
come le tue scelte!
Titania al pubblico:
Avete sentito?!
Un re che fa l’elenco delle mie ghirlande.
Domani parlerà anche dei centrini e delle posate!
Un attore/spettatore nascosto ridacchia. Titania si gira di scatto verso di lui.
Titania:
Ah! E tu ridi?
Vuoi prendere il suo posto?
O ti diverti solo perché hai pensato a tua moglie che ti fa le corna?
Oberon cercando di riprendere il tono epico:
Io volevo amore, Titania.
Amore… e magari un po’ di rispetto.
Titania:
E io volevo un uomo…
e non un regolamento condominiale!
Silenzio teso. Poi Titania sbuffa. Si guarda attorno. Ride.
Titania:
Sai cosa sei?
Un’eco maleducata.
Uno starnuto poetico.
Oberon con dignità, ma anche disperazione:
E tu sei…
un uragano vestito da dama.
Titania a braccia aperte:
E allora scateniamoci!
Litighiamo tutto, dai capelli alle radici!
Che anche il pubblico lo sappia:
questa favola non è mai stata una fiaba!
Pausa. Si guardano. Titania annusa l’aria.
Titania:
E ora…
mi pare di sentire odore di buffonata in arrivo.
Si sente in lontananza una risatina. Puck sta per arrivare. Fine del quadro.
Quadro 3: Il comando deformato
Oberon resta solo in scena. Cerca di rimettersi a posto gli abiti, ma senza convinzione. Si guarda intorno, come a cercare serietà. Prova a parlare in tono basso, ma tossisce. Riparte.
Oberon al pubblico, cercando concentrazione:
Ella ha scelto lo scontro.
Ha danzato con il veleno sotto la lingua.
E allora… lasciamo che sogni.
Tira fuori una pergamena stropicciata. Cerca di leggerla come se fosse un antico testo sacro.
Oberon:
V’è un fiore…
un fiore…
cresciuto dove Cupido…
dove Cupido… perse il tram?
Compare Puck da dietro una tenda, mangiando un biscotto. Non dice nulla. Osserva Oberon come se fosse a teatro.
Oberon ignorandolo:
Colpito da una freccia che…
che sbagliò bersaglio!
Un fiore piccolo, viola…
chi ne riceve il succo sugli occhi dormienti…
Puck con la bocca piena:
…dorme.
E sogna i funghi giganti.
Oberon lo fulmina con lo sguardo:
No, Puck.
Si innamora.
Si innamora di ciò che vede al risveglio!
Puck tirando fuori una boccetta colorata:
Tipo… questo?
Oberon:
No.
Quello è… brillantina.
Puck scambiandola:
Questo?
Oberon:
Quello è aceto.
Puck mostra una fialetta piena di coriandoli:
E questo?
Oberon pausa:
…quello può andare.
Pausa. Si fissano. Puck si siede a gambe incrociate, in mezzo alla scena.
Oberon stanco, quasi paterno:
Vai, Puck.
Fai… fai qualcosa.
Ruba il fiore, versa il succo, gira la favola.
Puck alzandosi lentamente:
Ah, finalmente un ordine chiaro!
“Fai qualcosa.”
Adoro l’improvvisazione!
Si avvicina al pubblico.
Puck:
E voi?
Siete pronti per un amore a casaccio?
A Oberon, sussurrando ma forte abbastanza da farsi sentire.
Dillo. Dillo tu.
Oberon sconfitto:
Quando torni…
l’amore sarà cieco.
Puck con inchino teatrale:
Sarà fatto.
Scivolerò tra le foglie come un pensiero…
dimenticato.
Fa due passi. Torna indietro.
Puck:
E se invece lo troviamo a terra, quel pensiero?
Lo raccogliamo o lo pestiamo?
Ride e scompare tra le tende, saltellando. Si sente un colpo di tamburo. Oberon resta in scena da solo, con lo sguardo perso. Sta per dire qualcosa, quando…
Dalla stanza successiva si sente all’improvviso una musica stonata, stridula, un misto di fisarmonica scordata, chitarra che gratta, tamburi sbilenchi. Una vera cacofonia.
Puck riappare da sotto una tenda, esaltato:
Sacripante!
Questa non me la voglio perdere!
Si volta verso il pubblico, spalanca le braccia.
Puck:
Su, venite!
Che i poeti si disperino pure…
ma i suonatori stonati fanno la vera magia!
Ride, si lancia correndo verso la fonte del rumore, uscendo dalla stanza. Il pubblico è naturalmente spinto a seguirlo. La luce della Quinta stanza si spegne lentamente, mentre quella della Sesta si accende a intermittenza, seguendo il ritmo disordinato della musica.
Sesta stanza: Il caos musicale degli artigiani variazione
Quadro 1: La prova impossibile
La stanza è un disastro visivo: spartiti strappati, sedie rovesciate, una cassa da vino come podio. Gli artigiani sono già dentro. Pompeo accorda il clarinetto soffiandoci dentro con la forza di un bue. Alfòns ha la fisarmonica ma la apre al contrario. Giuàn cerca di tenere il tempo battendo un cucchiaio su un tamburello. Nessuno si guarda. Tutti parlano.
Pompeo:
Allora! La canzone della festa si fa o no?
Alfòns:
Sì, ma con la mia melodia. Quella con la scala di Sol-sol-mi scappa!
Giuàn offeso:
E io? Io che ho scritto i versi?
“Vieni bella col mantello,
che ti porto sotto il cancello!”
Pompeo:
Ma che c’entra? È un funerale, quella lì!
Alfòns:
È per il matrimonio!
Giuàn alzando il tono:
E allora cambia solo la rima!
“Che ti porto sotto… al padiglione!”
Silenzio. Pausa. Tugnàzz entra in scena con l’aria di un direttore d’orchestra alcolico.
Tugnàzz:
Fermi tutti!
Qui ci vuole ordine, disciplina e… e…
un secondo bicchiere.
Si arrampica sulla cassa di vino, perde l’equilibrio, si siede sopra per sbaglio.
Tugnàzz:
Al mio tre, la musica parte.
Uno… due… sei otto!
Partono tutti assieme: suoni striduli, colpi a vuoto, urla, versi animali. Qualcuno finge di suonare con una penna. Uno strumento si rompe.
Pompeo urlando:
Chi ha preso la mia canna di riserva?!
Alfòns con enfasi:
Io sto suonando in Fa bronzeo!
Giuàn:
Io non sento più niente!
Ma è bellissimo!
Entra Puck, affacciandosi da una tenda o da dietro una colonna. Osserva, si gratta il mento, sorride.
Puck:
Una sinfonia d’amore…
scritta da una gallina con la febbre!
Tugnàzz:
Vedi? Vedi che piace?
Puck al pubblico:
Se questa è la prova…
al banchetto sarà l’Apocalisse!
Tutti si fermano. Una pausa.
Pompeo serio:
Proviamo l’intro un’altra volta.
Ma senza clarinetto.
E senza voce.
Ripartono. Ancora peggio. Uno di loro scoppia a ridere. La risata diventa generale.
Quadro 2: La prova di di Puck
La musica si è fermata dopo la prova disastrosa. Gli artigiani respirano affannati, ridono. Tugnàzz si sta asciugando la fronte con una tovaglia da tavola. Entra Puck, lentamente, con un ramo tra i denti, camminando come un gallo nel cortile.
Puck guardandoli uno ad uno:
Che bella orchestra di porci canterini!
Se il matrimonio va male…
almeno la festa scoppia!
Pompeo ride. Alfòns lo fissa.
Alfòns:
Eh, ma la sposa è fina, signor folletto…
Puck:
Fina?
Se fosse fina… non sposava uno coi baffi a parentesi e le mutande di broccato!
Risata. Puck si avvicina a Tugnàzz.
Puck:
E tu, capobranco delle bestie musicali,
quanto ci hai messo a scriver la canzone?
Tugnàzz fiero:
Due bicchieri e un rutto…. E la Musa mi ha detto, ma va’ affan….
Scoppia la risata. Parte una gara di battute sporche.
Pompeo:
Io una volta ho scritto un madrigale!
Per la moglie del vinaio…
Gliel’ho lasciato sul letto.
Con me sotto.
Alfòns:
Io ho cantato alla fiera con l’organo a fiato…
della zia del prete!
Giuàn:
Io scrivo solo in rima baciata…
di solito sulla bocca…
se quella ci sta!
Tugnàzz alzando il dito:
La rima migliore è quella che finisce con “tetta”.
Puck sghignazzando:
E quella che inizia con “fava” è già poesia contadina!
Ora si rincorrono. Le battute si sovrappongono.
Tugnàzz (ispiratissimo)
Feeermiiii! Uno, due… e poi Dio provvede!
Gli artigiani iniziano a suonare, scombinati.
Versione 2 – Canzone d’amore da osteria
Strofa 1
L’è calda la sposa, lei c’ha il fuoco addosso,
lei balla sul tavolo senza mutanda.
Se s’alza la gonna, lei mostra la luna,
e il vecchio compare ci resta di sasso.
Ritornello
Sposina sveltina, sposina sdrusciata,
ti porta la luna la coscia allungata.
Ti suona la tromba, ti balla il sedere,
tu zighi e sospiri… ma è tutto mestiere!
Strofa 2
La testa la perde nel giro di un canto,
il vino che scende come un sospiro.
Le dice la zia: “Sta’ ferma un bel tanto!”,
e lei le risponde: “è il mondo che gira!”
Ritornello
Sposina sveltina, sposina sdrusciata,
ti porta la luna la coscia allungata.
Ti suona la tromba, ti balla il sedere,
tu zighi e sospiri… ma è tutto mestiere!
Strofa 3
Se ride, le trema il balcone del petto,
gli occhi le saltano fuori dal riso.
La gonna le vola, come un dispetto,
qualcuno la guarda, attento al sorriso!
Ritornello
Sposina sveltina, sposina sdrusciata,
ti porta la luna la coscia allungata.
Ti suona la tromba, ti balla il sedere,
tu zighi e sospiri… ma è tutto mestiere!
Strofa 4
Sul fieno si sveglia con gesto teatrale,
il cane a sinistra e il gallo di fianco.
un verso le esce… che sveglia il pollaio
sorride… e si sgrulla la paglia dal fianco.
Strofa 5 (parlata)
L’è poesia rustica, con tutte le curve.
Se il Principe la sposa… dovrà zigare il rosario!
Puck:
Tugnàzz…
la tua rima ha fatto naufragio.
Scoppio di risate. Alfòns batte le mani come un gallo.
Puck:
Basta! Adesso silenzio…
che arriva… la regina dei sogni storti.
Tutti si zittiscono. Puck annusa l’aria. Tugnàzz sbianca.
Tugnàzz sottovoce:
Sta tornando?
Puck con un sorriso sinistro:
E sì… e cerca il suo puledro da notte fonda.
Fine del quadro. Rumore lontano. Un sospiro femminile si avvicina.
Quadro 3: L’uscita del somaro
Gli strumenti si fermano dopo l’ultima nota stonata. Gli artigiani ridono, si asciugano il sudore, Tugnàzz fa un inchino e si pavoneggia.
Tugnàzz
Avete visto?
La poesia… è come il vino buono:
va giù che pare un rutto…
ma ti resta nel cuore!
Pompeo (ridendo)
O nello stomaco.
Alfòns
O nella stalla.
Giuàn
O sul muso… se hai il muso giusto!
Tugnàzz (fiero, gonfio)
Parlate pure!
Ma stanotte, l’arte… mi ha scelto!
Si sente, da fuori scena, la voce di Titania: smaniosa, sognante, un po’ inquietante.
Titania (fuori scena)
Oh… fiato di muschio…
zoccolo del mio cuore…
dove ti nascondi, meraviglia?
Silenzio improvviso. Gli artigiani si immobilizzano. Tugnàzz sgrana gli occhi.
Pompeo (sottovoce)
Hai sentito?
Alfòns
È lei.
Giuàn
La regina.
E ha fame di… quadrupedi.
Tugnàzz (sbianca)
Oh no.
Oh no no no.
Titania (più vicina)
Vieni, mio cardo selvaggio!
Ho preparato un letto di felci… e desiderio!
Gli artigiani si aprono a ventaglio, indicano la direzione della voce con aria innocente.
Pompeo
Dai Tugnàzz…
lei ti vuole!
Giuàn
Fatti onore, stallone da fiera!
Alfòns
Se ti chiede di nitrire… fallo in tonalità!
Tugnàzz
Io… io ho da fare. Devo… accordare il tamburello!
Corre via in direzione opposta alla voce, inciampa su un tamburo, si rialza e scompare. Gli artigiani lo inseguono ridendo, uno finge di spingerlo verso Titania.
Pompeo (correndo dietro di lui)
Al galoppo, asinello dell’amore!
Giuàn (alla fisarmonica)
Vai che c’è la cavalla dei sogni!
Le luci si abbassano. Si sente ancora la voce di Titania in lontananza:
Titania (fuori scena)
Non scappare… oh melodia dal respiro ruvido…
La scena si svuota, lasciando una luce morbida sulla porta da cui Titania entrerà.
Settima stanza: L’incantesimo su Titania ripetizione deformata
Quadro 1: Il sonno di Titania deformato
La stanza è cupa, la luce tremolante. Il letto di Titania ora è un ammasso di coperte scomposte, cuscini spiegazzati, fiori finti caduti. Una maschera dorata è abbandonata a terra. Titania entra barcollando con addosso la stessa veste della Terza stanza, ma ora è sporca, sformata. Trascina con sé un ramo secco.
Titania parlando al ramo, confusa:
Quanto è bello dormire…
quando il bosco tace.
O quando russa.
O quando ti sei scordata… come ti chiami?
Si guarda attorno. Cerca qualcosa. Si accascia sul mucchio di stoffe, abbracciando un cuscino.
Titania:
Il mio paggio…
la mia rondine d’oriente…
o era una gallina?
Aveva le piume.
E le briciole.
Sbadiglia. Si stende goffamente. Un piede le resta fuori. Un fiore si incastra nei capelli.
Titania quasi sognando:
Dove sei… piccolo…
invisibile… portatore di sogni…
Dalle ombre appare Oberon. Trascina con sé un secchio di latta da cui estrae, con solennità esagerata, un flacone luccicante. Parla con tono incantatorio, ma la voce è stanca, spezzata.
Oberon:
Ella dorme.
E nel sogno…
biascica misteri.
Si avvicina. Guarda il flacone, lo scuote.
Oberon:
V’è un fiore…
cresciuto dove Cupido…
ha fatto pipì una sera d’estate.
Pausa. Si inginocchia goffamente. Titania russa leggermente. Oberon sospira.
Oberon:
Poserò su di lei
il bacio dell’inganno.
E al risveglio…
amerà ciò che merita.
O ciò che capita.
Le apre delicatamente l’occhio con due dita, versa una goccia invisibile con enfasi esagerata.
Oberon solenne, ma esausto:
Che l’amore la colga.
Con l’urgenza di un fulmine…
e la precisione di un piccione.
Si rialza. Titania si gira su un fianco, abbraccia il cuscino e sorride.
Titania nel sonno:
Zoccoli…
che bel rumore…
Oberon si ritira indietro, sbattendo contro uno sgabello. Esce borbottando qualcosa tipo “Era più facile dare il rame alle viti”. La luce cala lentamente.
Quadro 2: Il risveglio e l’innamoramento deformato
Luce gialla, sporca, tremolante. Titania si muove nel sonno, emette piccoli versi: un misto tra un mugolio e un muggito. Poi spalanca gli occhi. Guarda in alto. Una piuma cade.
Titania sognante, con voce cavernosa:
Chi sei… creatura della stalla?
Un sogno… con le unghie da fienile?
Un prodigio che sa di crusca?
Entra Tugnàzz da un angolo. Sta cercando un tamburello che ha perso. La testa d’asino è storta, ha il mantello chiuso male, e tiene in mano una ciabatta.
Tugnàzz tra sé:
Ma l’avevo appoggiato qui…
poi ho fatto la canzone…
poi ho sentito le voci…
poi s’è rotto il manico.
Titania si alza di scatto. Lo guarda. Un respiro profondo.
Titania in estasi:
Oh tu!
Che sembri un dio del letame!
Tugnàzz si blocca:
…eh?
Titania:
Hai il muso della verità.
Le mani della terra.
E l’odore del destino fermentato!
Tugnàzz indietreggia:
Senta, ma… io sono della banda!
Titania:
Toccami.
Toccami con il tuo zoccolo emozionato!
Tugnàzz:
Ma questo è un callo, non è emozione!
Titania si avvicina danzando in modo scoordinato. Gli gira attorno, lo annusa, ride.
Titania:
Hai un alito da leggenda.
Il fiato di chi ha divorato le stelle… e l’aglio!
Tugnàzz:
No, ho solo mangiato alla Fira di Sett Dulur…
Lei cerca di baciarlo. Lui scappa dietro un cuscino.
Titania:
Dammi il tuo nome, asinello divino!
Tugnàzz con voce strozzata:
Tugnàzz… tamburellista… avventizio!
Titania:
Sarai mio.
Ti farò un letto di carrube!
Un trono di secchi rovesciati!
Una culla col rumine!
Tugnàzz:
No, guarda… io ho già un’amica a Fusignano!
Titania alzando le braccia:
Amore!
Abbracciami o mi monto da sola!
Tugnàzz lancia la ciabatta e fugge fuori scena. Titania lo insegue.
Titania urlando con passione:
Aspetta!
Il mio cuore scalpita come un somaro in salita!
Fine quadro. Il pubblico resta un momento in silenzio. Poi, lentamente, inizia a sentire bisbigli nella stanza successiva.
Quadro 3: Il presagio degli amanti deformato, con scambio di generi
Luci basse, tremolanti. La stanza è vuota per un istante. Poi una figura entra di corsa: è Elena, in disordine, vestita come nella scena precedente ma con movenze robuste e impazienti. Cammina con spalle larghe, si gratta il collo, si soffia il naso con la mano. Si ferma al centro, pianta i piedi per terra, guarda attorno con aria da capocantiere.
Elena voce roca:
Lisia?!
Dove cavolo ti sei cacciato, maledetto?
Sei Demetrio, sei un’ombra, sei un pollo impanato?!
Rispondi, ché non ho tempo da perdere!
Da una porta laterale entra Demetrio, saltellando. Indossa lo stesso costume, ma con la cintura stretta troppo in alto. Cammina a passi leggeri, fa svolazzare un fazzoletto, ride con voce acuta.
Demetrio canticchiando:
Ermia?
Elena?
Oh che bel caos amoroso!
Se mi rincorri… ti amo!
Esce saltellando. Entra Ermia da fondo scena. Tiene una scarpa in una mano e una mela nell’altra. Mastica rumorosamente. Si siede con le gambe larghe, sbadiglia.
Ermia tra i denti:
Basta.
Io non corro più.
Chi mi vuole, venga.
Io sono qui, e mi gratto dove mi pare.
Lisia entra, girandosi attorno con passi danzati, le mani giunte sotto il mento.
Lisia voce sottile:
Elena!
Ti ho cercata per tre sogni e due abissi!
Amami, ti prego… o almeno guardami con dolcezza.
Ermia guardandolo storto:
Ma vattene, sembri una busta gonfia.
Lisia:
Ah!
Che crudeltà!
Un cuore gentile in un mondo di scarpate!
Esce piagnucolando. Elena rientra trascinando una sedia.
Elena:
Io non capisco più chi insegue chi.
Ma se mi corre ancora dietro uno con le punte ai piedi…
lo pesto.
Demetrio rientra. Si avvicina a Elena saltellando.
Demetrio:
Tu…
sei il mio destino in scarponi.
Sposami, o colpiscimi… ma con grazia.
Elena lo afferra per le spalle, lo scuote:
Basta parlare in rima!
Se mi vuoi, parla chiaro!
Puck appare sul fondo. Osserva la scena come un regista soddisfatto. Poi guarda il pubblico.
Puck con tono calmo, ironico:
E così…
le dame gridano, i cavalieri frignano,
i sogni s’incrociano come le rotte dei gabbiani ubriachi.
Pausa. I quattro si fermano. Titania passa sullo sfondo, portando una corda. Nessuno la nota.
Ermia grattandosi un fianco:
Questo sogno… puzza di sudore.
Lisia toccandosi il petto:
Ma ha il battito di un valzer!
Puck:
Forse vi sveglierete.
Forse no.
Ma chi vi ha detto che questo è un sogno?
Un suono lontano: un campanello, sgraziato. Le luci calano. I personaggi svaniscono uno a uno, come dissolti nel vapore. Puck scompare per ultimo, facendo l’occhiolino al pubblico.
Ottava stanza: La confusione degli amanti seconda iterazione, alterata
Quadro 1: Dove avevo la testa
Luce biancastra, diffusa. La scena è spoglia, quasi domestica: una sedia capovolta, un vaso rovesciato, un fazzoletto per terra. Gli amanti entrano da angoli opposti, con andatura nervosa. Parlano subito, senza salutarsi.
Elena:
Dove avevo la testa?
Ma dove? Me lo puoi dire tu, eh?
Demetrio:
Se me lo chiedi così, io… non so se posso.
Elena:
Era lì!
Lì, sul tuo petto. E tu?
Tu pensavi a… a quella con la treccia!
Demetrio:
Non era una treccia. Era un’imprudenza.
Elena:
Ah! Quindi ora hai anche il vocabolario della colpa!
Pausa. Entrano Lisia ed Ermia, contemporaneamente.
Lisia:
Io lo sapevo che finiva così.
Ermia:
Me l’aveva detto mia madre.
Lisia:
Tua madre dice sempre che tutti tradiscono.
Ermia:
E ha ragione. Almeno ci si prepara.
Demetrio:
Scusate, stiamo litigando noi due. Potete—
Elena:
No, no, fammi capire: “Scusate”?
Da quando siamo in quattro? Da quando ti servono i rinforzi?
Lisia alzando un dito:
Io non prendo posizione.
Io sono neutro. Neutro e infelice.
Ermia:
Io invece prendo nota.
E se mi viene in mente altro… te lo rinfaccio fra dieci anni.
Pausa. Tutti si guardano. Nessuno sa più chi stava parlando con chi.
Demetrio:
Cosa stiamo facendo?
Elena:
Stiamo chiudendo un conto.
Vecchio. Con interessi.
Lisia:
E io ci ho messo la firma. Senza leggere.
Ermia:
E io… io mi tengo lo scontrino.
Tutti si voltano in direzioni opposte. Si siedono a terra, uno per angolo, imbronciati.
Elena sospirando:
Dove avevo la testa?
Ermia:
Sul mio cuscino.
Lisia:
Sulla mia camicia.
Demetrio:
Nel mio sogno.
Tutti in coro, esasperati:
Appunto!
Quadro 2: L’inventario della delusione
Ermia con tono meccanico:
Questo è tuo?
Lisia:
No. Era tuo.
Ermia:
Ma io non metto scarpe di stoffa.
Demetrio:
La cipolla è mia. La portavo per non piangere.
Funziona al contrario.
Elena prendendo la foto:
E questa? Ce l’hai tu e ci sono io.
Lisia:
Sì, ma la metà destra è mia.
Elena:
La mia metà non ride.
Demetrio guardando il guanto:
Questo l’ho dato a tutte.
Ermia:
Tipico.
Pausa. Li vediamo davvero per un istante come coppie finite che riordinano una casa abbandonata.
Elena con rabbia quieta:
Io volevo solo un po’ di poesia.
Non dico un sonetto…
ma almeno una frase con il futuro dentro.
Lisia guardando nel vuoto:
Io volevo qualcuno che mi lasciasse finire le frasi.
Demetrio:
Io volevo fare l’errore giusto.
Ermia:
Io… non volevo.
Ecco il mio errore.
Luce che sfuma. Tutti si voltano lentamente, come se percepissero qualcosa.
Quadro 3: Il loop del litigio
Luci fredde, di nuovo. Una figura esce da una porta e rientra dalla successiva. È Elena. La segue Demetrio. Ma quando rientrano, dicono le stesse frasi. Poi Lisia. Poi Ermia. Il pubblico comincia a capire che le battute si ripetono.
Elena entrando:
Dove avevo la testa?
Demetrio dietro di lei:
Sul mio sogno.
Lisia entrando da sinistra:
Io non prendo posizione!
Ermia:
Io tengo lo scontrino.
Si ripete. Uguali. Tre volte. Poi Puck entra. Ferma il tutto alzando una mano.
Puck:
Basta. Stop.
Questo litigio ha girato su se stesso così tanto…
che si è scordato da dove veniva.
Pausa. Gli amanti si guardano. Si mettono in cerchio. Puck si avvicina al pubblico.
Puck:
Siete mai stati così?
In amore? In sogno? In discussione?
Un battito di mani. Gli amanti spariscono, uno per uno, dietro le tende.
Puck sussurrando:
Se vi siete riconosciuti…
non ditelo.
Lasciate che resti tra voi e il palazzo.
Fine della Nona stanza. Le candele si abbassano. Si apre un varco verso la Decima.
Nona stanza: Il mondo delle fate ultima iterazione, stravolta
Quadro 1 – Le stesse parole
Luci basse, stabili, quasi grigie. La scena è spoglia: resti delle scene precedenti – un velo spiegazzato, un fiore secco, un frammento di ghirlanda. Titania è seduta a terra. Oberon in piedi, di spalle. Lunghi silenzi. Poi, senza voltarsi, Oberon parla.
Oberon:
Tu dirai: “Quanto è bello dormire…”
E io ti risponderò: “Sognavi anche tu…”
Come sempre.
Come ogni volta.
Titania senza guardarlo:
Non ho più voglia di recitare.
Le parole mi scivolano via.
Le ho dette troppe volte. Anche quando non le pensavo.
Oberon voltandosi:
Io…
Non so se ti amo.
O se amo l’idea di averti già amata.
Titania sorridendo piano:
Ci siamo rincorsi per tre stanze.
Forse anche per tre vite.
E ora siamo fermi.
Finalmente.
Lungo silenzio. Nessuno si muove.
Quadro 2 – Il sogno che scolora
La luce si raffredda. I colori diventano smorti. Titania si alza lentamente. Cammina verso un fiore per terra. Lo raccoglie. È finto.
Titania:
Questo era fresco.
Nella prima stanza… ti ricordi?
L’avevo nel velo.
Ora… è cartapesta.
Oberon prendendo il fiore:
È il sogno.
Ha finito la tinta.
Sta lavando via i bordi.
Titania:
Quindi siamo gli ultimi?
Oberon sussurrando:
Siamo i superstiti.
Di una notte che si è stancata di sognarsi.
Silenzio. Titania gli porge il fiore. Lui lo prende e lo lascia cadere.
Titania quasi ridendo:
Questa è la versione in cui ci perdoniamo?
Oberon:
No.
Questa è la versione in cui non serve più farlo.
Quadro 3 – L’intervento di Puck
Si sente una risatina da dietro. Puck compare da un angolo buio, con passo leggero. Li osserva, poi guarda il pubblico.
Puck:
Oh… come sono belli quando si svuotano.
Come stanze disfatte dopo una festa troppo lunga.
Titania si siede. Oberon si gira verso Puck.
Oberon:
È finita?
Puck:
Non ancora. Ma il sogno ha già indossato il cappotto.
Titania al pubblico:
Andate. Prima che tutto svanisca.
Oberon:
O peggio… prima che ricominci.
Puck apre un passaggio, forse una porta, forse solo una luce:
Venite.
Gli amanti vi aspettano.
E poi… forse… la fine.
O qualcosa che le somiglia.
Le luci della stanza si abbassano. Titania e Oberon restano immobili, come statue. Puck guida il pubblico fuori, ridendo sommessamente.
Decima stanza – Gli amanti contro la scena
Quadro 1 – Il sospetto
Luci grigie, stabili, quasi fredde. I quattro amanti sono già in scena, seduti o in piedi, lontani fra loro. Lunghi silenzi. Elena osserva il pubblico da tempo, come se stesse cercando un dettaglio fuori posto. Poi parla, senza fretta.
Elena:
C’è qualcosa che non torna.
Ci muoviamo. Parliamo. Ci amiamo, ci tradiamo…
Ma è come se tutto fosse già stato detto.
Le vostre facce non cambiano mai.
Neanche quando piango.
Demetrio serio, calmo:
Io ho provato a cambiare qualcosa.
A dirti una parola diversa.
A sbagliare strada.
Ma finisco sempre qui. A dirti che ti amo…
quando non lo so più.
Lisia si alza:
Una volta ho provato a non entrare nella stanza.
Sono rimasto dietro il tendaggio, zitto.
E sapete cosa è successo?
La scena è cominciata lo stesso.
Qualcun altro ha detto le mie battute.
Ermia piano:
Io ho sognato il tuo viso, Elena.
Ma… lo guardavo da fuori.
Come se fossi un altro.
O come se qualcuno me lo avesse messo davanti… apposta.
Pausa. Silenzio sospeso. Elena si rivolge direttamente al pubblico.
Elena:
Chi siete voi?
Chi siete davvero?
Spettatori?
O complici?
Una voce dal pubblico – attrice nascosta – risponde, limpida.
Attrice:
Siamo quelli che vi sognano.
E vi ripetono.
Per non dimenticare.
Quadro 2 – Il litigio
Ermia si irrigidisce. Si volta verso la voce. La individua.
Ermia aggressiva:
Tu! Tu lo sapevi!
Sai quello che dico, prima che lo dica!
Sai che stasera mi perderò… di nuovo!
Attrice fredda, ma non ostile:
Io so che stasera non troverai.
E che domattina ti risveglierai con un’ombra in meno.
Ermia avanza verso il pubblico:
Io non sono un’ombra!
Io sono viva, ti senti?!
Io amo, sbaglio, grido!
E non sono una riga scritta in una scena!
Si ferma, ansima.
Lisia raggiungendola:
Ermia, basta. È solo uno spettatore…
non darle potere!
Ermia scattando:
Ma ci ha risposto!
Risponde, ci guarda, ci conosce!
Loro sanno tutto!
Sanno quando scappo. Quando mi arrabbio. Quando ho paura.
Demetrio con voce rotta:
Io non ho più paura.
Io mi arrendo.
Se siamo solo parti di un testo…
allora almeno ditemi chi ha scritto il finale.
Attrice un ultimo sguardo:
Il finale…
non è scritto.
È solo ripetuto. Da chi non ha smesso di sognarvi.
Ermia cerca di scavalcare le sedie. Lisia la trattiene con forza, quasi la abbraccia per impedirle di oltrepassare il limite invisibile della quarta parete. Lottano. Elena si copre il volto.
Elena al limite del pianto:
Non voglio più amare davanti a degli sconosciuti.
Non voglio più essere desiderata con la luce accesa.
Demetrio si accascia a terra. La tensione sale. Si sente un suono lontano: un sorriso breve, poi una risata.
Quadro 3 – La fuga e l’addormentamento
Puck entra da un lato della scena. Non fa rumore. Sembra quasi complice del pubblico, ma poi si volta verso i personaggi. Voce bassa, ipnotica.
Puck:
Shh.
Basta.
Avete urlato abbastanza da far tremare i muri delle stanze precedenti.
Eppure… non è cambiato nulla.
Tutti si zittiscono. Solo il respiro agitato di Ermia. Puck cammina in mezzo agli amanti.
Puck:
Le repliche gridano quando sono stanche.
I sogni sbattono contro il vetro quando vogliono restare.
Ermia con voce spezzata:
Portami via da qui.
Portami via da questo testo.
Puck guardandola:
Se esci… ti addormenti.
Non c’è un fuori.
C’è solo il sogno… più profondo.
Ermia fugge verso l’uscita. Lisia le corre dietro, senza dire nulla. I due scompaiono. Si fa silenzio. Elena e Demetrio restano immobili.
Puck al pubblico:
E voi?
Volete restare a guardare?
O siete pronti a vedere la fine… sotto il cielo vero?
Le luci si abbassano. Solo Puck resta in piedi. Sembra indicare una direzione.
Undicesima stanza – La dissoluzione del sogno post-sbornia condivisa
Quadro unico – La mattina dopo
Luce fredda e sgranata, come l’alba dopo una notte agitata. La scena è vuota. Titania è seduta su una panca di legno. Ha un fiore stropicciato in mano. Tugnàzz entra da un lato, strusciandosi gli occhi. Ha una ciabatta sola e una piuma in testa.
Tugnàzz con voce rauca:
Ahi la testa…
Ma che razza di vino era?
Titania alza lo sguardo. Lo guarda. Lo riconosce… a metà.
Titania:
Tu…
Tu sei…
quello con le…
le… orecchie.
Le orecchie da…?
Tugnàzz:
Da incubo, direi.
Pausa. Si siedono lontani. Silenzio.
Titania guardando il fiore:
È successo qualcosa… vero?
Tugnàzz guardando in su:
Io… mi ricordo un canto.
Un tamburello.
Poi… carezze? O stavo cadendo in un cespuglio?
Titania imbarazzata:
C’era profumo.
C’erano mani.
C’era… calore.
Ma non era mio.
Era… nostro?
Tugnàzz guardandola di sottecchi:
Senta…
Non è che…
cioè…
siamo finiti…?
Titania:
Insieme?
Tugnàzz:
Nel senso…
fisico?
Titania:
Concretamente?
Pausa. Si fissano.
Titania:
Io non ricordo.
Tugnàzz:
Io non ho prove.
Titania:
Ma ho dei graffi.
Sulle spalle.
Tugnàzz:
Io… ho un morso sul polpaccio.
Ma può essere stato il clarinettista.
Silenzio. Si guardano. Poi, contemporaneamente:
Meglio non sapere.
Pausa. Titania si alza.
Titania:
Questo sogno si sta spegnendo.
Lo sento svanire… come una figura di sabbia.
Tugnàzz guardandosi attorno:
Io mi sento come dopo un ballo…
ma senza musica.
E senza sapere con chi ho ballato.
Puck entra, dietro di loro. Parla senza guardare nessuno.
Puck:
È l’ora che precede la fine.
Il sogno barcolla.
Il fiume chiama.
Campana in lontananza. Titania e Tugnàzz si guardano, annuiscono, ma non si toccano. Escono da lati opposti. Solo Puck resta.
Puck al pubblico:
Non chiedete cosa è successo.
Chiedete… se era necessario.
Luci in dissolvenza.
L’uscita nel bosco e la transizione all’argine del fiume
Dodicesima stanza: Teseo e l’uscita
Quadro 1: L’apparizione di Teseo
Luci più calde. Teseo compare da un’arcata, illuminato da una luce naturale o simile a quella dell’alba. Ha l’aria trionfante, come se tutto fosse andato perfettamente. Indossa abiti festivi, leggermente spiegazzati. Si aggiusta il mantello. Sorride.
Teseo:
Ma che splendida serata!
Amici, ospiti, cittadini, stranieri di passaggio!
Io vi ringrazio di cuore per aver preso parte a questa celebrazione!
Che sogno! Che incanto! Che armonia!
Si guarda attorno, non trova nessuno. Si gratta la testa, poi si rivolge al pubblico come se fosse appena entrato in sala.
Teseo:
Voi…
Ma certo! Eravate già qui.
Avete visto tutto, vero?
Il canto, i giardini, le luci…
E naturalmente… la recita.
Pausa. Dietro di lui, da un punto non visibile, si sente una voce ubriaca e lontana – è un attore mescolato al pubblico, che ripete una battuta sentita ore prima, ma in tono sfocato e incongruo.
Voce:
“…ma io mi tengo lo scontrino…”
Teseo si volta, finge di non aver sentito bene.
Teseo sorridendo imbarazzato:
Qualcuno ha parlato?
No? Forse un’eco del vino.
Poi si fa più serio, più cerimonioso. Si rivolge al pubblico come se stesse aprendo un rito.
Teseo:
Voi che avete camminato con noi tra le stanze del sogno,
ora vi invito a uscire.
Fuori, sull’argine del fiume,
ci attende l’ultima luce, l’ultima musica.
Una notte così va celebrata fino in fondo…
fino al primo grillo che canta l’alba.
Fa un gesto largo. Le porte si aprono. Un’aria leggera entra. Si sente lontanamente il suono di cicale e qualche nota confusa, forse una prova musicale lontana.
Teseo con tono solenne e leggermente fuori luogo:
Avanti, amici.
Che l’amore si svegli, e che il sogno si dissolva con grazia.
Seguite me. La festa continua…
fuori.
Teseo scende lentamente, aprendo il corteo. Alcuni attori si muovono silenziosamente attorno, predisponendo il pubblico al cammino. Mentre si avanza verso il cortile, si sente una seconda eco lontana, quasi sussurrata, come un ricordo di ciò che è stato.
Voce nell’ombra:
“…le parole mi scivolano via…”
Quadro 2: Il passaggio e il risveglio degli amanti
Il pubblico esce dal palazzo, guidato da Teseo. La luce esterna è dorata, come in una sera d’estate. Si sentono grilli, cicale e un lontano accenno di musica. Puck cammina in mezzo al pubblico, osserva tutti con sguardo sornione ma silenzioso.
Stazione 1: Il soffio nel collo
In un tratto d’ombra del cortile, un’attrice nascosta tra il pubblico si avvicina a una spettatrice. Soffia leggermente sul collo, poi svanisce. Nessuno parla. Solo chi lo riceve lo percepisce davvero.
Primo incontro – Elena
Elena è sdraiata sotto un albero. Si sveglia piano. A pochi passi, Lisia è seduto con la schiena contro un muretto. Si massaggia la fronte. Parlano a bassa voce, come se avessero appena sognato l’altro.
Elena:
È già mattina?
…o siamo tornati all’inizio?
Lisia:
Ti ho cercata, ma non eri mai la stessa.
Ora… sì.
Ora ti riconosco.
Si prendono per mano. Non si baciano. Camminano in silenzio.
Stazione 2: Il frammento sussurrato
Ai margini del sentiero, un attore appoggiato a un albero – forse Oberon o una delle fate – sussurra senza guardare nessuno:
“Tu eri il vento… e io il ramo piegato.”
Poi si zittisce, alza un dito alle labbra e scompare.
Secondo incontro – Ermia
Ermia è seduta su una pietra. Guarda il cielo. Demetrio si sveglia poco lontano, confuso.
Demetrio:
Ti ho sognata.
Ma eri tre. E nessuna mi voleva.
Ermia:
Ora sono una. Ma sono stanca.
Demetrio:
E io… sono ancora io?
Ermia annuisce, poi si alza:
Se lo sei, vieni.
Si uniscono in silenzio al gruppo.
Stazione 3: La figura con la lanterna
Accanto a un angolo in ombra, una figura silenziosa tiene in mano una lanterna spenta. Al passaggio del pubblico, la accende. Cammina per pochi metri accanto al gruppo, poi si ferma. Nessuna parola.
I due gruppi di amanti si incontrano davanti a una piccola radura. Si riconoscono. Si avvicinano. Ma nessuno dice: “ti amo”. Si sorridono, si prendono le mani, come dopo una lunga distanza.
Elena:
Ci siamo già detti tutto?
Ermia:
Sì. Ma solo adesso ci siamo ascoltati.
Stazione 4: Il gesto speculare
Elena ed Ermia si fermano. Allo stesso tempo, alzano il braccio sinistro. Poi il destro. Si guardano. Lisia e Demetrio imitano il gesto. Si sorridono. Riprendono il cammino.
Stazione 5: Il canto lontano
Si ode una voce femminile lontana, senza corpo, che canta lentamente:
“Sposina gentila… ti portan le stelle…
Ti canta la luna… ma il cuore… lo beve…”
Quando il pubblico si volta, la voce svanisce.
Ultimo gesto – Il rito della candela
Puck compare. Cammina davanti al gruppo. Si ferma. Guarda il pubblico, poi dice semplicemente:
Puck:
Basta ombre.
Ora… si vede.
Con un gesto, invita tutti ad abbassare la candela. Gli spettatori spengono le luci. Puck raccoglie le ultime, come petali. Teseo si volta e sorride.
Il gruppo riprende il cammino, in silenzio. In lontananza, l’argine è illuminato. Si ode la banda degli artigiani che si accorda. L’aria si carica di attesa.
Quadro 3: Il corteo verso l’argine
Luci naturali o filtrate verso il tramonto. Il cielo ha sfumature calde, l’aria è immobile. Il pubblico cammina in fila compatta, preceduto da Teseo e seguito da Puck. I quattro amanti camminano tra gli spettatori, mescolati ma riconoscibili: si tengono per mano, ma con passo incerto, come chi ha ancora addosso il sonno.
Non ci sono battute. Solo rumori naturali: cicale, un cane lontano, qualche passo sullo sterrato. Di tanto in tanto, un artigiano nascosto tra gli alberi fa suonare una nota di clarinetto o tamburello, come una prova.
Azioni durante il corteo
- Teseo ogni tanto si volta, annuisce con gioia, come se stesse guidando un matrimonio.
- Puck si muove tra le persone, guardandole negli occhi. A volte fa il gesto di “zittire” con un dito. Una volta sola bisbiglia, quasi impercettibile:
“Stiamo arrivando…
Ma non chiedete dove.”
- Un attore nascosto fa scivolare una ghirlanda secca davanti ai piedi del primo spettatore. Nessuno la raccoglie.
Ultimi segni del sogno
- Una farfalla di carta è legata con filo invisibile a un ramo: si muove con il vento. Alcuni la notano. Altri no.
- Da una finestra del palazzo ormai lontano, qualcuno un attore sussurra la prima frase di tutto lo spettacolo:
“Quanto è bello dormire…”
- Nessuno risponde. Ma uno degli amanti Ermia si volta. Solo per un attimo.
L’argine si apre davanti al pubblico: una striscia d’erba, morbida, chiara. La luce si alza. Si vedono le sedute, una piccola pedana. La banda degli artigiani è già in posizione. Uno sistema un tamburello. Uno fischietta. Uno ha una ghirlanda in testa.
Il corteo si ferma. Gli spettatori prendono posto. I personaggi si dispongono senza parlare. Tutto è pronto per l’ultimo quadro.
Sull’argine del fiume
Scena unica – Festa e rivelazione finale
Quadro 1 – Arrivo sull’argine
L’argine del fiume è illuminato a giorno. L’atmosfera è festosa, con lanterne, fili di luce appesi tra i rami e candele sparse ovunque. Si sentono in lontananza strumenti che si accordano, piatti che tintinnano, risate soffuse. Il pubblico giunge assieme a Teseo e Ippolita. Gli amanti, svegliatisi lungo il percorso, camminano insieme al pubblico: confusi, spettinati, ancora incerti. Tutti sembrano credere che il sogno sia finito… ma qui c’è un altro inizio.
Gli amanti si fermano all’ingresso del prato, colpiti dallo spettacolo.
Ermia sottovoce:
Ma… è giorno.
Eppure… è come se il sogno continuasse.
Elena guardando le luci:
Siamo svegli, vero?
Demetrio:
Credo di sì. Ma allora perché… perché il cuore batte come prima?
Lisia indicando il pubblico:
E loro?
Sono venuti con noi?
Sono sognatori… o testimoni?
Teseo si volta verso tutti, entusiasta.
Teseo:
Benvenuti!
Sì, benvenuti a questa nuova alba, a questa notte che si rifiuta di finire!
A Castel d’Argine Vecchio, ogni sogno è una festa… e ogni festa, un sogno che non vuole morire!
I tamburi cominciano a suonare un ritmo crescente. Alcuni artigiani fanno capolino, pronti per il concerto. I canti non sono ancora iniziati, ma c’è il fermento dell’inizio. Gli amanti si lasciano coinvolgere, spaesati ma attratti.
Ermia a bassa voce:
Io… non me ne vado.
Non ancora.
Elena ridendo:
Per una volta, siamo d’accordo.
Il ritmo cresce. Il pubblico è ormai tutto radunato. Si alza un grido festoso da parte degli artigiani: è il segnale che la celebrazione può cominciare.
Quadro 2 – Il discorso del Principe e l’avvio della festa
Teseo si porta al centro dello spazio. Gli artigiani formano un semicerchio alle sue spalle, con ghirlande, tamburi, stoviglie, strumenti a fiato. Le lanterne ondeggiano leggere. Il pubblico è raccolto di fronte. Teseo alza un calice e sorride come se nulla fosse successo.
Teseo:
Signore e signori, amici e… viandanti del sogno,
questa notte, che avrebbe dovuto essere una cerimonia ordinata,
è diventata un labirinto.
Ma se l’amore è disordine,
e se il cuore è un attore che dimentica il copione,
allora – vi dico –
non poteva esserci nozze migliori!
Applausi degli artigiani. Elena ride. Demetrio si volta verso Lisia con un cenno di sorpresa.
Teseo proseguendo, più solenne:
Abbiamo visto occhi aprirsi su altri occhi,
labbra perdersi, corpi rincorrersi come in una danza storta…
Eppure, eccoci qui.
Chi si ama si è trovato.
Chi si è smarrito ha percorso sentieri nuovi.
E voi – miei cari invitati – siete stati parte di questo mistero.
Teseo abbassa la voce, con tono complice.
Teseo:
Si dice che all’alba i sogni svaniscano.
Ma io non ci credo.
Non stanotte.
Stanotte, i sogni si fanno carne e vino, canto e follia.
Alza il calice.
Teseo:
Che la festa cominci!
Un artigiano dà il via a un colpo di tamburo. Gli altri esplodono in un grido.
Artigiani:
Al focolare! Alla sposa! Alla luna piena!
Quadro 3 – L’orchestra degli artigiani
Con il via libera di Teseo, gli artigiani si dispongono in cerchio. Alcuni prendono strumenti, altri battono ritmi con le mani, altri ancora ballano in modo buffo. Tre attori, mimetizzati tra il pubblico, cominciano a muoversi con passo cadenzato, invitando a danzare. Chi accetta viene guidato con delicatezza verso il centro dello spazio.
Ruggisce il leon affamato
Voce principale: Puck
Coro sommesso: gli artigiani, che cominciano quasi per gioco, poi si dimostrano musicisti raffinati
Stile musicale: misterioso, crescente, da ballata notturna che sfuma nel rituale
Puck solo, con voce recitata ma intonata:
Ruggisce il leon affamato,
e il lupo ulula, disperato,
alla luna, che nel ciel s’avanza,
mentre il villan, stanco, ronfa e danza.
Un flauto solitario riprende il tema. Gli artigiani iniziano ad accompagnare con archi pizzicati.
Puck intonato, ma con tono grave e ritmico:
Il focolare, ora, è spento,
e il gufo, triste, manda un lamento,
narra storie di antichi dolori,
mentre l’ombra s’allunga fuori.
Artigiani sottovoce, come una litania:
Ohhhh…
mentre l’ombra s’allunga fuori…
Entrano dolci armonie a corda, pizzicato e leggere percussioni, come una pioggia su rame.
Puck più solenne:
È l’ora in cui le tombe s’aprono,
e la peste, nel buio, si sprona,
creature nere, che la luce odiano,
fan la ronda, e i vivi insidiano.
Artigiani più intensi:
Fan la ronda… fan la ronda…
e i vivi insidiano…
Puck più dolce, rallentando:
Spirito errante, vieni a noi,
che siamo loro, e non temiamo i tuoi,
unisciti a noi, in questa notte fonda,
dove magia e paura si confonda.
Silenzio quasi completo. Una nota lunga e tenue di armonium accompagna le ultime parole.
Tutti in coro, leggerissimo:
…dove magia… e paura… si confonda.
Applausi. Parte la seconda canzone. Titania e Oberon, come due figure d’altri tempi, si pongono al centro della scena. Inaspettatamente, si tengono per mano. Oberon inizia.
Risfavilli il focolare
Duetto con Oberon e Titania
Oberon strofa 1
Risfavilli il focolare,
non restiamo più nel gelo.
Ogni ramo ha il suo rifiorire,
ogni cuore il suo mantello.
Titania strofa 2
Rinasca il canto tra le fronde,
dove il sogno s’è posato.
Ogni bacio che si perde
torni a casa, ritrovato.
Oberon strofa 3
Volteggiate, piccole fate,
sulla soglia della luce.
Benvenuto a chi perdona,
benedetto chi non duce.
Titania strofa 4
Che la danza sia carezza,
che l’amore sia semenza.
Ogni passo che vacilla
porti gioia e non sentenza.
Oberon e Titania insieme, finale
Fate ed elfi, andate lieti,
sparse gocce d’acqua chiara.
Ogni stanza sia salvata,
ogni notte… meno amara.
Il pubblico, trascinato ormai nella danza, si muove a spirale intorno alla scena. Parte la terza canzone.
Ora fin che l’aurora
Canzone finale di Oberon – con coro degli artigiani
Strofa 1 – Oberon
Ora, fin che l’aurora,
col dito tinge il cielo,
che ognuno trovi il tempo
per sciogliere ogni velo.
Si stenda su ogni casa
una rugiada chiara,
che scenda come pace,
che canti e che ripara.
Ritornello – Coro degli artigiani lento, armonioso
Dormi sereno, cuore leggero,
la notte finisce, si scioglie il pensiero.
Ogni promessa si posa nel vero,
come una foglia sul fiume sincero.
Strofa 2 – Oberon
Benedetto il talamo
di chi si vuole bene,
che cresca senza spine,
che il tempo non lo frene.
E ai bimbi che verranno,
nessun segno cattivo,
ma sogni come vento
che scorre e resta vivo.
Ritornello – Coro degli artigiani
Dormi sereno, cuore leggero,
la notte finisce, si scioglie il pensiero.
Ogni promessa si posa nel vero,
come una foglia sul fiume sincero.
Finale – Tutti Oberon + coro in crescendo dolce
Ora che il sogno svanisce lontano,
e il fiume si ferma a tendere la mano,
ciò che è stato rimane nel suono:
la notte è finita. È giorno. È buono.
Le luci calano leggermente. Titania posa una mano sulla spalla di Puck, comparso dal nulla.
Titania:
Ma… tu ridi sempre?
Puck:
Solo quando il mondo fa sul serio.
Quadro 4 – La comparsa di Ammone
Un suono di campana lontana rompe la musica. Un rintocco unico, profondo. Immediatamente, tutte le luci del palazzo e dell’argine si accendono contemporaneamente. È un bagliore improvviso, reale. Il sogno si spezza. Il paesaggio naturale torna visibile, nudo. I nastri, le ghirlande, le maschere: tutto sembra fuori posto, fuori tempo.
Un attore nascosto tra il pubblico sussurra, con voce quasi infantile:
“Ma… è già mattina?”
Un’onda di silenzio attraversa la scena. Dal fondo dell’argine, salendo lentamente, appare una figura imponente. Il suo volto è segnato da sabbia, muschio e tempo. I suoi abiti sembrano scolpiti nell’acqua e nella roccia. È Ammone.
Un attore, fingendo di non sapere, lo indica:
“Chi è quello?”
Un altro risponde, teatrale, sussurrando:
“È Ammone. Il dio del fiume. Il Flumen Ammonis.”
Ammone, dapprima irritato, poi gentile:
Cus’el ste casè?
Oh, sei tu, Puck, mio giovane amico?
Puck lo vede, si irrigidisce, fa un passo indietro. Poi parla con voce tremante, ma teatrale:
“Se le nostre parvenze / vi han dato noia o offesa,
pensate che abbiate dormito, / e ogni cosa è stata attesa.
Noi ombre, senza scopo…”
Ammone alza una mano. Lo interrompe con un gesto lento e autorevole.
Ammone voce profonda, sorridente:
No, piccolo mio.
Non parlarmi da servo…
Cantami quel sogno… da poeta!
Conclusione
Scena e quadro unici – il canto di Puck
Puck abbassa gli occhi, poi li riapre. Sorride. La sua voce si fa melodiosa e trasparente, intona dolcemente.
Se noi ombre vi siamo dispiaciuti
Canto finale di Puck in forma cantata, con accompagnamento orchestrale crescente
Puck solo, su melodia lieve:
Se noi ombre vi siamo dispiaciuti,
immaginate come se veduti
ci aveste in sogno, e come una visione
di fantasia la nostra apparizione.
Uno alla volta, gli orchestrali iniziano a suonare. Il suono entra piano, struggente, dolcissimo.
Puck con la musica:
Se vana e insulsa è stata la vicenda,
gentile pubblico, faremo ammenda;
con la vostra benevola clemenza,
rimedieremo alla nostra insipienza.
L’orchestra cresce lievemente. Gli artigiani si dispongono in semicerchio, in ascolto.
Puck sorridendo, commosso:
E, parola di Puck, spirito onesto,
se per fortuna a noi càpiti questo,
che possiamo sfuggir, indegnamente,
alla lingua forcuta del serpente,
Puck più piano:
ammenda vi farem senza ritardo,
o tacciatemi pure da bugiardo.
A tutti buonanotte dico intanto,
finito è lo spettacolo e l’incanto.
Gli orchestrali accompagnano ogni verso con una grazia commovente. Gli attori si dispongono in semicerchio attorno al pubblico, restando in silenzio.
Puck quasi sussurrando:
Signori, addio, batteteci le mani,
e Robin v’assicura che domani
migliorerà della sua parte il canto.
Le luci iniziano a spegnersi, a una a una: prima il palazzo, poi l’argine, poi la festa. Restano solo luci di orientamento, fioche, a terra.
Un attore nascosto, come un’eco lontana, ripete a mezza voce:
“…dove magia e paura si confonda.”
Fine.
Lo spettacolo termina a notte inoltrata, con il pubblico che si allontana nel buio, lasciando dietro di sé il palazzo e il sogno.


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