Cercar Tempo – un viaggio nella memoria

Sommario

  1. Sommario
  2. Presentazione del custode
  3. Le otto stazioni
    1. Il risveglio e il disorientamento
    2. La memoria del gusto
    3. Il profumo del biancospino
    4. L’eco di una risata
    5. La perdita e l’assenza
    6. Il ricordo che sfugge
    7. Il canto della festa
    8. Il cerchio si chiude
  4. Struttura del cast
    1. Attori professionisti (ruoli principali)
    2. Attori nascosti (volontari con battute e interazioni dirette)
    3. Partecipanti evocativi (volontari senza battute, che rafforzano l’atmosfera)

Presentazione del custode

(Luogo: San Savinio al Luco durante il periodo della Fira dla Roseda. Punto di ritrovo iniziale. Il pubblico è in attesa, avvolto nel buio. Il tempo sembra sospeso.)

Silenzio.

Un battito di luce squarcia l’oscurità. Una lanterna si accende, tremolante. Il suo bagliore ondeggia sulle pietre irregolari, svelando una figura che emerge dall’ombra. Il Custode avanza, lasciando che la luce sfiori i volti degli spettatori, uno dopo l’altro, come se stesse cercando di riconoscerli.

Si ferma. Solleva la lanterna. Guarda il pubblico.

Il Custode
«Sapete dove state andando?»

Una pausa. Forse qualcuno annuisce, forse nessuno risponde. Il Custode sorride, appena.

«Non importa. Anche se non lo sapete, siete già stati qui.»

Si avvicina a uno degli spettatori, lo osserva.

Il Custode
«E tu? Ricordi come sei arrivato?»

Attesa. Qualcuno potrebbe provare a rispondere, o restare in silenzio.

Un’ombra si anima tra il pubblico. Una voce si alza, netta.

Attore Nascosto 1
«Chi sei?»

Il Custode si volta. Lo fissa per un istante. Poi guarda gli altri, come se la domanda fosse arrivata da tutti loro.

Il Custode
«Forse un ricordo. Forse qualcuno che hai già incontrato.»

L’Attore Nascosto non è convinto. Scuote la testa, fa un passo avanti.

Attore Nascosto 1
«Perché dovremmo seguirti?»

Il Custode inclina la lanterna, lasciando che le ombre si allunghino sul selciato.

Il Custode
«Perché siete già sulla strada.
Perché il tempo non è dritto come credete.
Perché tutto questo… lo avete già vissuto.»

Il Custode abbassa lo sguardo per un istante, come se vedesse qualcosa sulle pietre sotto di lui. Poi solleva la lanterna.

Il Custode
«Io ricordo la strada.
Forse voi la riconoscerete.»

Si gira. Comincia a camminare lentamente. Il pubblico esita. Il silenzio è denso.

Uno degli Attori Nascosti si muove per primo. Poi, come richiamati da qualcosa di familiare, gli spettatori iniziano a seguirlo. La lanterna si allontana, la folla la segue.

Il viaggio è iniziato.

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Le otto stazioni

Ogni stazione ha un ruolo specifico per i partecipanti della chiamata pubblica.

Il risveglio e il disorientamento

Il pubblico si muove nel flusso della festa, immerso nel vociare confuso, tra bancarelle e profumi dolciastri di zucchero filato e vino. Il selciato irregolare risuona sotto i passi, le luci sfumano in un bagliore tremolante. Tutto scorre come sempre, eppure qualcosa nell’aria suggerisce un’attesa, una sospensione impercettibile, come se un momento non fosse ancora iniziato… o fosse già accaduto.

Ai margini della strada, un lampione fioco illumina una panchina di ferro e legno, segnata dal tempo. Le pietre del selciato sono irregolari, alcune sollevate dal passaggio degli anni. Su quella panchina, un uomo siede immobile. Non guarda la folla, non partecipa al movimento. Sfoglia distrattamente un foglio piegato in quattro, le dita che scorrono sulle righe stampate, gli occhiali che scivolano sul naso. Borbotta a bassa voce, quasi tra sé e sé.

L’Uomo che Inciampa
«Lunedì sera… spettacolo in piazza… Martedì… Torneo di briscola… Ah, qui! Mercoledì!»

Si interrompe. Inclina la testa, osserva il foglio con un’espressione perplessa. Si gratta la nuca, scuote la testa.

L’Uomo che Inciampa
«No, non può essere giusto.»

Rilegge, controlla meglio, il dito che segue con insistenza le parole. Alla fine sospira, piega il foglio e si alza.

Fa un passo. Inciampa.

Il tacco della scarpa scivola tra due pietre, la caviglia cede leggermente, un foglio sfugge dalle sue dita, sospinto da un soffio d’aria. Si apre nel volo breve e silenzioso, posandosi sul suolo con un fruscio appena percettibile. Il rumore della pelle contro la pietra. Il rapido scivolare del cuoio.

L’uomo si sbilancia.

Dalla folla, un’ombra si anima. Un attore nascosto avanza con decisione, le mani si tendono giusto in tempo per sorreggerlo.

L’Attore che Soccorre
«Tutto bene?»

L’uomo si appoggia per un istante al braccio teso, poi si raddrizza, si guarda intorno, spaesato. Abbassa gli occhi sul foglio caduto a terra, si china, lo raccoglie con un gesto automatico, lo scuote per liberarlo dalla polvere. Lo riapre di scatto.

L’Uomo che Inciampa
«No… Aspetta. Questo non può essere giusto.»

L’Attore che lo ha soccorso lo osserva, incuriosito.

L’Attore che Soccorre
«Cosa c’è?»

L’uomo non risponde subito. Gli occhi scorrono ancora sulle righe, rileggono, cercano conferme che sembrano sfuggire. Non sembra turbato, piuttosto… assorto.

Dal pubblico, un attore nascosto avanza.

Attore Nascosto 2
«Io… credo di aver già visto questa scena.»

L’Uomo che Inciampa solleva lo sguardo, lo fissa.

L’Uomo che Inciampa
«Com’è finita?»

L’Attore Nascosto sorride appena.

Attore Nascosto 2
«Sono arrivato alla fine. E mi sono accorto che ci ero già stato.»

Un brivido impercettibile attraversa l’aria. Poi, da un lato della scena, una luce tremolante si accende. Il Custode si muove .Era rimasto ai margini, in disparte, silenzioso. Ora avanza, la lanterna bassa, la fiamma che si riflette sulle pietre del selciato. Si ferma accanto all’Uomo che Inciampa. Non sorride, ma il suo sguardo sembra conoscerlo già.

Il Custode
«Strano, vero? A volte è un inciampo a svegliarci.»

L’Uomo che Inciampa lo osserva, ancora confuso.

L’Uomo che Inciampa
«Io… Non capisco.»

Il Custode abbassa lo sguardo sul foglio spiegazzato nelle mani dell’uomo, poi torna a guardarlo.

Il Custode
«Non importa. Capirai. O forse ricorderai.»

Si volta, scruta il pubblico.

Il Custode
«Vi siete mai chiesti se avete già vissuto questo momento?»

Un silenzio leggero, denso. Un attore nascosto tra la folla si muove, incerto.

Attore Nascosto 2
«Io… io ho avuto questa sensazione. Come se qualcosa fosse già successo.»

Il Custode inclina leggermente la testa, come se ascoltasse qualcosa che solo lui può sentire.

Il Custode
«A volte il passato non ci viene incontro con grandi rivelazioni. A volte si nasconde nei dettagli. Negli inciampi. Nei suoni familiari. Fino a quando non ci fermiamo davvero.»

Si volta, osserva il cammino davanti a sé. Solleva la lanterna.

Il Custode
«Andiamo. Il tempo non aspetta.»

L’Uomo che Inciampa rimane immobile per un istante. Poi, lentamente, piega il foglio con cura. Lo infila nella tasca. Solleva lo sguardo, incrocia per un attimo quello del Custode. Poi si muove.

Il Custode avanza. Uno dopo l’altro, anche gli attori nascosti si mettono in cammino. Il pubblico segue, quasi senza accorgersene.

Il viaggio è iniziato.

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La memoria del gusto

La strada si restringe, il brusio della festa si smorza leggermente. Davanti a un vecchio bar, i tavolini di legno sono già occupati. Gli avventori – attori immersi nella scena – non parlano, non si cercano con lo sguardo. Lentamente, sorseggiano il loro vino, spezzano uno scroccadente tra le dita, mentre il chiasso della Fira dla Roseda scorre intorno a loro, distante, come un’eco lontana.

Un passante si ferma. Guarda verso il bar, osserva la cameriera che dispone i bicchierini su un vassoio. Per un attimo sembra sul punto di avvicinarsi, ma poi cambia idea, scuote appena la testa e riprende il cammino, inghiottito dalla folla.

Dalla porta del locale esce la cameriera, portando un vassoio e una bottiglia di Albana Passito. Il vino ambrato cattura la luce, i piccoli bicchieri tintinnano leggermente mentre li dispone con cura sul tavolo. Il suo gesto è misurato, privo di fretta, come se lo avesse compiuto mille volte prima di quella notte.

La Cameriera
«Ecco a voi, burdël. Albana Passito e scroccadenti. Come una volta.»

Un uomo sulla cinquantina solleva il bicchierino, lo osserva controluce, lo fa ruotare leggermente prima di avvicinarlo al naso.

L’Uomo Seduto al Tavolino
«Mmmh… Questo profumo… È come tornare indietro.»

Accanto a lui, una donna prende uno scroccadente, lo spezza con un suono secco. Rimane immobile un istante, poi sorride, quasi con nostalgia.

La Donna Seduta al Tavolino
«Mia nonna diceva che andavano messi in un barattolo di latta, altrimenti diventavano molli.»

L’uomo annuisce, ancora immerso nel ricordo.

L’Uomo Seduto al Tavolino
«La mia li conservava sotto un burazzo. Ma finivano sempre troppo in fretta.»

Il Custode, rimasto fino a quel momento ai margini della scena, si avvicina. Osserva il movimento delle mani, il vino che brilla sotto la luce fioca del lampione, il modo in cui la donna sfiora le briciole rimaste sul tavolo. Poi si rivolge al pubblico.

Il Custode
«Strano, vero? Un sapore, un profumo… e tutto torna. Non solo il ricordo, ma il momento stesso.»

Si volta verso un gruppo di spettatori, li osserva con curiosità.

Il Custode
«E voi? Quale sapore vi riporta indietro?»

Se qualcuno risponde, il Custode ascolta con attenzione, annuendo come se già conoscesse la risposta. Se il pubblico resta in silenzio, sorride appena e prosegue.

Il Custode
«A volte basta una briciola. Basta intingere un biscotto in un vino dorato… e tutto riaffiora.»

Un attore nascosto nella folla si anima, il tono della voce incerto, quasi sorpreso dalle proprie parole.

Attore Nascosto 3
«Io… non saprei dire il sapore, ma il momento sì. Era estate. C’era il sole, c’era mio padre. Ridevamo per niente.»

La Donna Seduta al Tavolino si gira verso di lui, lo fissa con un’intensità nuova.

La Donna Seduta al Tavolino
«Ecco. È questo. Non è il gusto. È quello che c’era attorno.»

La Cameriera prende un bicchierino dal vassoio, lo porge a uno degli spettatori.

La Cameriera
«Prova. Dimmi cosa senti.»

Se lo spettatore beve, la cameriera lo osserva con un leggero sorriso, quasi con attesa. Se non lo fa, si limita ad annuire e passa oltre.

Un altro attore nascosto si avvicina lentamente al tavolo, osservando il vino con attenzione.

Attore Nascosto 4
«Albana Passito. Mio nonno lo beveva a Natale. Diceva che serviva a far parlare i ricordi.»

Il Custode si sposta accanto a lui, posa la mano vicino al bicchiere.

Il Custode
«Forse aveva ragione.»

Il tempo sembra sospeso. I bicchieri colmi di vino scintillano alla luce tremolante dei lampioni. Gli attori seduti al tavolo si scambiano un’occhiata, poi, lentamente, sollevano i calici. Nessun tintinnio rompe il silenzio, nessun brindisi viene pronunciato. Solo un movimento condiviso, un gesto che sembra appartenere a un tempo lontano.

Poi, come richiamata da qualcosa che solo lei percepisce, la Cameriera si volta. Raccoglie il vassoio, la bottiglia ormai più leggera, i bicchieri che restano vuoti sul legno della tavola. Senza un saluto, senza un ultimo sguardo, rientra nel bar, lasciandosi alle spalle la scena come se non fosse mai esistita.

Gli avventori restano ancora un istante. Poi, uno dopo l’altro, si alzano. Nessuno si affretta, nessuno si guarda indietro. Si mescolano tra la folla, confondendosi nel movimento della festa, come ombre che tornano a disperdersi tra la gente.

Sul tavolo rimangono solo i segni del loro passaggio: qualche bicchiere vuoto, poche briciole di scroccadenti. Dettagli minimi di un momento che si dissolve.

Il Custode osserva il pubblico, poi solleva la lanterna.

Il Custode
«Andiamo. Prima che il gusto svanisca.»

Si incammina. Il pubblico lo segue, con la sensazione che, da qualche parte, un sapore antico abbia appena risvegliato qualcosa dentro di loro.

Il viaggio continua.

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Il profumo del biancospino

La strada si fa più quieta. Il frastuono della festa è lontano, ovattato, come appartenesse a un altro tempo. Sul bordo della via, un piccolo carrettino di legno trabocca di fiori disposti con cura. Ghirlande di biancospino pendono leggere accanto a mazzi di fiori di stagione, colorando il banco improvvisato. L’aria profuma di terra umida, di petali freschi, di ricordi intrecciati all’odore del biancospino.

Dietro il carretto, una donna lavora con gesti precisi. Le sue mani sfiorano i fiori con la delicatezza di chi ne conosce il linguaggio. I movimenti sono misurati, privi di fretta. C’è un sorriso lieve sul suo volto, un pensiero lontano che la accompagna mentre sistema i mazzi con attenzione.

Davanti al banco, alcuni visitatori della Festa si fermano. Guardano i fiori senza fretta, li sfiorano con la punta delle dita senza comprarli, come se stessero scegliendo un ricordo più che un oggetto. Poco distante, un uomo anziano avanza con passo misurato. Si ferma davanti al carretto, osserva il banco per un lungo istante, poi prende un fiore e lo porta al viso. Inspira lentamente, chiude gli occhi, lasciando che il profumo risvegli qualcosa dentro di lui. Poi, senza dire nulla, lo rimette a posto con un gesto quasi rispettoso e si allontana.

Il Custode, rimasto ai margini fino a quel momento, si avvicina alla Fioraia.

Il Custode
«Un bel banco di fiori.»

Lei solleva lo sguardo, lo studia per un istante prima di rispondere.

La Fioraia per un giorno
«Ti piace? Faccio la fioraia solo un giorno all’anno. Oggi.»

Il Custode inclina la testa, incuriosito.

Il Custode
«E negli altri giorni?»

La Fioraia si ferma un attimo, poi solleva una piccola ghirlanda e la sistema con delicatezza tra le altre.

La Fioraia per un giorno
«Negli altri giorni faccio tutt’altro. Ma oggi… oggi è la Fira, e io sono mia nonna.»

Il Custode la osserva con attenzione.

Il Custode
«Perché proprio oggi?»

La Fioraia si passa una mano sulla gonna, come per lisciare un pensiero difficile da spiegare.

La Fioraia per un giorno
«Lei era la vera fioraia. Aveva il banco proprio qui. E allora, una volta all’anno, prendo il suo posto. È il mio modo di riportarla qui.»

Il Custode
«E cosa penserebbe tua nonna di questo gesto?»

La Fioraia ride piano.

La Fioraia per un giorno
«Oh, direbbe che non so disporre i mazzi come si deve.»

Il Custode
«Forse. Oppure sarebbe orgogliosa di vedere che il suo banco è ancora qui.»

La Fioraia lo osserva un istante, poi abbassa gli occhi sui fiori tra le mani.

La Fioraia per un giorno
«Forse hai ragione.»

Dal pubblico, un attore nascosto interviene con voce bassa, quasi incredula.

Attore Nascosto 2
«Io me la ricordo tua nonna. Portava sempre il grembiule con le tasche piene di spago e forbici. E le mani… profumavano di fiori.»

Un altro attore nascosto si avvicina leggermente, con un sorriso nostalgico.

Attore Nascosto 3
«Quando ero piccolo, mi regalava sempre un fiore. Diceva che portava fortuna.»

La Fioraia li guarda, sorpresa. Poi sorride.

La Fioraia per un giorno
«Lo diceva davvero. Per lei, ogni fiore aveva un significato. A ognuno di noi dava qualcosa di diverso.»

Solleva lo sguardo verso il pubblico.

La Fioraia per un giorno
«E voi? Qualcuno di voi ha mai ricevuto un fiore da lei?»

Se qualcuno risponde, la Fioraia annuisce, come se quel ricordo la riempisse di calore. Se il pubblico resta in silenzio, un altro attore nascosto prende la parola.

Attore Nascosto 4
«Il mio era una margherita. Mi disse che era il fiore della speranza.»

Il Custode osserva la scena, poi abbassa leggermente la lanterna.

Il Custode
«Ogni fiore che ha donato, ogni parola che ha detto, è ancora qui. Nulla si perde davvero.»

La Fioraia prende un fiore dal carretto e lo porge a uno degli spettatori con un sorriso gentile.

La Fioraia per un giorno
«Tieni. Porta fortuna.»

Un velo di quiete scende sulla scena, come se il tempo si fosse posato delicatamente tra i fiori e le mani che li sistemano. Il profumo del biancospino sembra farsi più intenso, mentre gli ultimi visitatori si allontanano, lasciando dietro di sé solo il fruscio leggero dei loro passi.

Poi, all’improvviso, l’aria si increspa.

Una risata femminile, limpida, cristallina, vibra nello spazio vuoto, attraversando la strada come un’eco venuta da lontano. È leggera, giocosa, quasi sfuggente, ma colpisce con la forza di qualcosa che si riconosce senza bisogno di ricordare.

La Fioraia si volta di scatto, le mani ancora immerse tra i fiori, come se quel suono l’avesse chiamata per nome. Anche il Custode solleva lo sguardo, il viso immobile, gli occhi puntati verso il punto da cui la risata è venuta, come se sapesse già chi l’ha pronunciata.

Tra la folla, un attore nascosto nel pubblico si blocca. Il suo respiro cambia appena mentre un sussurro gli sfugge, quasi senza volerlo.

Attore Nascosto 2
«Quella risata… la conosco.»

Il Custode solleva lentamente la lanterna, illuminando la strada successiva.

Il Custode
«Andiamo. Qualcuno ci sta aspettando.»

Resta fermo ancora un istante, ascoltando il riverbero di quella risata che sembra danzare nell’aria prima di dissolversi. Poi, senza fretta, si volta nella sua direzione. Il suo passo è misurato, naturale, come se stesse semplicemente riprendendo un cammino lasciato in sospeso molto tempo prima.

Attorno a lui, l’atmosfera della festa sembra ovattarsi, il brusio confondersi con il battito leggero dei passi sul selciato. Nessuno ha bisogno di parole per capire che devono seguirlo. Il pubblico si mette in movimento, quasi senza accorgersene, attratto da quel suono che ancora vibra nella loro memoria, anche se non sanno dire esattamente perché.

La strada si allunga davanti a loro, la risata ormai lontana ma ancora presente, come una traccia sottile da inseguire.

Il viaggio continua.

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L’eco di una risata

La strada si restringe leggermente, portando il gruppo in una zona più silenziosa del paese. Qui, le luci della festa sembrano più lontane, i rumori attutiti. L’aria è immobile, come in attesa. Poi, una risata femminile squarcia il silenzio.

È limpida, leggera, ma arriva come un richiamo.

Alcuni volontari mescolati tra il pubblico si fermano di colpo. Si voltano nella direzione del suono, come se avessero riconosciuto qualcosa. I loro volti mostrano sorpresa, incertezza. Qualcuno inclina la testa, cercando di capire. Il Custode, che finora ha seguito il gruppo senza parlare, si arresta. Con un gesto lento, solleva la lanterna, lasciando che la luce tremolante giochi sulle pietre del selciato. Poi osserva il pubblico, studiando le loro reazioni.

Il Custode
«Strano, vero? Una risata dovrebbe farci pensare a qualcosa di presente, di vivo. Eppure… questa ci sta portando altrove.»

Un breve silenzio si stende sul gruppo. Poi un attore nascosto tra il pubblico rompe l’attesa.

Attore Nascosto 1
«Io… io l’ho già sentita questa risata.»

Il Custode si volta verso di lui, con un sorriso enigmatico.

Il Custode
«Sei sicuro? O è solo un’impressione?»

L’attore nascosto sembra esitare, poi scuote la testa.

Attore Nascosto 1
«No, l’ho sentita davvero. Ma non so quando.»

Il Custode abbassa la lanterna, il chiaroscuro che si crea sul suo viso accentua il mistero.

Il Custode
«Non sai quando… oppure non sai se?»

Un altro attore nascosto interviene, parlando a bassa voce, come se il pensiero gli fosse sfuggito involontariamente.

Attore Nascosto 3
«Forse entrambe le cose.»

Il Custode lo fissa per un istante, poi annuisce.

Il Custode
«Forse è così che iniziano i ricordi. Prima senti qualcosa, poi cerchi di capire da dove arriva. E solo alla fine, se sei fortunato… ritrovi te stesso.»

Si interrompe. Il pubblico è in attesa, sospeso. Poi, di nuovo, la risata torna a farsi sentire. È più avanti, più lontana, come se li stesse aspettando. Il Custode inclina leggermente il capo, come se stesse ascoltando qualcosa che gli altri non possono udire. Poi sorride e solleva di nuovo la lanterna.

Il Custode
«Non facciamola aspettare.»

Si rimette in cammino. Il gruppo lo segue.

Dopo pochi passi, la risata si interrompe bruscamente. Davanti a loro, su un muro scrostato, tra vecchi annunci e volantini sbiaditi, c’è un manifesto funebre. Un uomo è fermo davanti a esso, immobile. Lo sguardo è fisso sul nome stampato in nero. Il Custode rallenta. La lanterna illumina il foglio, mentre il gruppo si ferma.

La risata non si sente più. Il tempo sembra essersi fermato.

Il viaggio prosegue.

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La perdita e l’assenza

Il gruppo avanza lungo la strada, il passo rallentato, quasi esitante. La risata di poco fa è svanita, ma nell’aria è rimasta una vibrazione sottile, come un’eco che ancora non si è del tutto spenta. Poi, senza preavviso, il Custode si ferma.

Davanti a loro, su un muro scrostato dal tempo, tra vecchi annunci di spettacoli passati e volantini dimenticati, un manifesto funebre è stato affisso di recente. La carta è ancora bianca, le lettere nere spiccano nette, immobili, come scolpite.

Un uomo è lì, fermo, le mani in tasca, le spalle leggermente curve. Guarda il manifesto con un’espressione che non è dolore, né sorpresa. È qualcosa di più complesso.

Attorno a lui, alcune persone sono già ferme. Volontari mescolati tra il pubblico, uomini e donne che osservano il foglio con un’aria assorta, la postura degli umarell, le mani dietro la schiena, leggermente inclinati in avanti, come se aspettassero di vedere il cemento asciugarsi. Poco più in là, un’altra figura spezza la fissità della scena. Un volontario tiene in mano una busta chiusa. La rigira tra le dita, la osserva con attenzione, ma non la apre.

Il Custode lascia che la lanterna illumini il manifesto, poi si avvicina.

Il Custode
«Sei venuto anche quest’anno?»

L’uomo non si volta subito. Continua a fissare il manifesto, gli occhi leggermente socchiusi, come se stesse cercando di leggere qualcosa tra le righe.

Il Nipote della Postina
«Ogni anno qualcuno lo attacca.»

Fa una pausa, scuote la testa con un sorriso a metà.

Il Nipote della Postina
«Ma lei è morta da più di quarant’anni.»

Si passa una mano sulla bocca, poi ride, ma senza allegria.

Il Nipote della Postina
«Era mia zia, la postina del paese. Ma per me era come una seconda madre.»

Abbassa lo sguardo, sospira, poi torna a guardare il manifesto.

Il Nipote della Postina
«Eppure… eccola qui. Di nuovo. Ogni anno.»

Finalmente si gira verso il Custode, lo guarda negli occhi con un misto di curiosità e rassegnazione.

Il Nipote della Postina
«Qualcuno si diverte a fare uno scherzo? O è lei che non vuole essere dimenticata?»

Il Custode inclina la testa, come se la domanda fosse retorica.

Il Custode
«Se anche fosse uno scherzo, sarebbe il suo preferito.»

Dal pubblico, una risata leggera, spontanea.

Attore Nascosto 1
«La postina! Oh, sì… chi la dimentica?»

Un altro attore nascosto si unisce, il tono più sicuro, il sorriso evidente nella voce.

Attore Nascosto 2
«Sempre con la bicicletta, la borsa di cuoio… e quella lingua! Una volta mi ha consegnato la cartolina della leva e mi ha detto: “Bella notizia! Da oggi, ti fan marciare per niente!”»

Attore Nascosto 1
«E quando arrivava un telegramma con una brutta notizia? Rideva! Ma non per cattiveria. Diceva che una risata valeva più di cento condoglianze!»

Attore Nascosto 4
«Quando mio zio è morto, è entrata in casa e ha detto: “Signora, ho una brutta notizia. Suo genero ha cambiato indirizzo… adesso riceve posta solo dall’aldilà! Però c’è un lato positivo: almeno quest’anno non dovrà litigare con lui a Natale!” E mia nonna si è messa a ridere così forte che non si capiva più se piangeva dal dispiacere o per le risate!»

Risate leggere si mescolano nell’aria.

Attore Nascosto 2 (scuotendo la testa)
«Era più veloce delle notizie stesse. Mia madre diceva sempre che se era la postina a portarti un telegramma, tanto valeva non aprirlo. Lei te lo diceva direttamente, e in un modo che ti veniva da ridere!»

Il Nipote della Postina ascolta. Lentamente, il suo viso cambia. La confusione si stempera, il dubbio diventa riconoscimento. Si volta di nuovo verso il foglio, ma lo guarda in modo diverso.

Il Nipote della Postina (ridendo tra sé)
«Faceva ridere chiunque. Sul serio. Era capace di far scoppiare a ridere una persona sul letto di morte.»

Si ferma un attimo, poi aggiunge, più piano, quasi parlando a sé stesso.

Il Nipote della Postina
«E difatti l’ha fatto.»

Un silenzio improvviso avvolge la strada. Un attore nascosto tra il pubblico si fa avanti, il tono incredulo, come se stesse cercando di confermare un ricordo sfocato.

Attore Nascosto 1
«Dici la storia del letto di morte?»

Il Nipote della Postina annuisce.

Il Nipote della Postina
«Quella.»

Un mormorio si alza tra gli attori nascosti, qualcuno ridacchia, qualcun altro scuote la testa come se non riuscisse a crederci.

Attore Nascosto 4
«Ma è vera?»

Il Nipote della Postina sorride.

Il Nipote della Postina
«Chi lo sa? Però dicono che, quando era sul letto di morte, abbia chiuso gli occhi di colpo. Tutti si sono zittiti, pensavano fosse andata. E invece no.»

Fa una pausa, lasciando che l’attesa cresca.

Il Nipote della Postina
«Ha aperto un occhio, così, piano piano… si è guardata intorno… e ha detto: “Ah, siete messi proprio male, eh?”»

Scoppia a ridere, e con lui lo fanno tutti gli attori nascosti.

Attore Nascosto 2
«No, ma davvero?»

Il Nipote della Postina
«Giuro! E poi ha chiuso gli occhi di nuovo. E quella volta è morta sul serio.»

Il gruppo ride, ma il Custode rimane in silenzio, osserva il volto del Nipote della Postina con un’espressione più attenta, quasi complice.

Il Custode
«Quindi la sua ultima parola è stata una battuta?»

Il Nipote della Postina (annuendo, con un sorriso che ha dentro malinconia e orgoglio)
«La migliore di tutte. Definitiva.»

Il Custode abbassa leggermente la lanterna, lasciando che la luce tremolante sfiori il manifesto.

Il Custode
«Forse non sta aspettando solo te.»

L’uomo rimane fermo, il viso ancora rivolto al manifesto. Per un istante sembra incerto, poi annuisce lentamente, come se qualcosa dentro di lui si fosse finalmente allineato. Non dice nulla, non cerca conferme.

Solleva appena la mano in un gesto discreto, un saluto accennato a qualcuno che non è lì. O forse lo è sempre stato. L’aria si muove impercettibile, sfiorando il muro, increspando appena i bordi del manifesto. Un foglio si stacca da uno dei vecchi annunci, sollevato da un soffio leggero. Vibra per un istante nell’aria, poi ricade silenzioso sul selciato.

Il Custode osserva la scena, poi alza lo sguardo verso il gruppo.

Il Custode
«Andiamo. Ci sono ancora ricordi da risvegliare e lettere da recapitare.»

Si incammina, il passo leggero, senza voltarsi indietro.

Dopo un attimo di esitazione, il Nipote della Postina si scuote dal suo immobilismo, abbassa lo sguardo, poi si volta e lo segue, senza più guardare il foglio affisso al muro. Uno dopo l’altro, anche gli altri iniziano a muoversi, il gruppo si rimette in cammino, il ritmo dei passi che si allinea di nuovo.

La strada li attende.

Il manifesto rimane lì, la carta ancora intatta sotto la luce fioca. Ma ora non sembra più un semplice frammento del passato rimasto indietro. È qualcosa di vivo. Un ponte teso tra ciò che è stato e ciò che ancora resta.

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Il ricordo che sfugge

La strada si fa più stretta, il silenzio si infittisce. La luce della festa è lontana, ridotta a un bagliore incerto dietro le case. Qui, il tempo sembra scorrere in un modo diverso, più lento, più denso.

Davanti al gruppo, una vecchia porta chiusa. Il legno scuro, l’intonaco scrostato tutt’intorno, un campanello opaco, coperto da un velo di polvere. Davanti a essa, un uomo fermo, la schiena leggermente curva, una mano sospesa nell’aria. Le dita si tendono appena, ma non premono. Esita. Il braccio immobile, lo sguardo fisso sulla porta.

Il Custode è rimasto in disparte fino a quel momento, osservando in silenzio. Poi, con calma, si avvicina. La lanterna getta ombre irregolari sulla facciata della casa. La sua voce rompe il silenzio con la leggerezza di chi sa già la risposta.

Il Custode «Stai cercando qualcuno?»

L’uomo sobbalza appena, come se non si aspettasse di essere interpellato. Per un attimo sembra confuso, poi scuote la testa.

L’Uomo del campanello «Io… non lo so.» (Abbassa lo sguardo, quasi imbarazzato.) «Sono arrivato qui senza pensarci. E ora sono fermo. Non so perché.»

Il Custode (con un sorriso appena accennato) «Forse perché qualcosa ti ha portato fino a qui.»

L’uomo lo guarda, incerto. Poi solleva di nuovo la mano.

L’Uomo del campanello «Dovrei suonare. È quello che si fa, no?» (Pausa. Il dito si avvicina al pulsante, ma poi si ritrae.) «Ma e se non dovessi?»

Il Custode «E se invece fosse già troppo tardi?»

L’uomo abbassa lentamente il braccio.

L’Uomo del campanello «Forse… non c’è più nessuno dall’altra parte.»

Dal pubblico, una voce rompe l’immobilità.

Attore Nascosto 2 «Io me la ricordo, questa porta.»

Un altro attore nascosto fa un passo avanti.

Attore Nascosto 3 «Anche io. Da bambino ci passavo davanti ogni giorno.» (Pausa, socchiude gli occhi come se stesse cercando un dettaglio nella memoria.) «Ma non ricordo chi ci abitava.»

L’uomo del campanello si volta verso di loro, improvvisamente attento.

L’Uomo del campanello «Era qualcuno che conoscevate?»

Attore Nascosto 3 (scuote la testa) «Forse sì… forse no.»

Attore Nascosto 2 «A volte i ricordi si confondono.»

Il Custode osserva la scena con un’espressione quasi divertita, poi abbassa leggermente la lanterna.

Il Custode «Forse alcuni ricordi non vogliono essere trovati. Forse sono come un nome sulla punta della lingua… ma che non arriva mai.»

L’uomo del campanello deglutisce, incerto. Poi inspira profondamente e solleva di nuovo la mano, con più decisione.

L’Uomo del campanello «Basta con queste sciocchezze. Io suono.»

Prima che il suo dito tocchi il campanello, un suono metallico squarcia l’aria.

Un rintocco secco, inaspettato.

Il campanello ha suonato da solo.

Il pubblico trattiene il fiato. L’uomo si ritrae di scatto, gli occhi sgranati. Guarda la porta, poi il Custode, come se cercasse una spiegazione.

L’Uomo del campanello (con un filo di voce) «L’ho sentito… ma l’ho suonato io?»

Un attore nascosto sussurra appena.

Attore Nascosto 3 «Forse non tutto può essere afferrato.»

L’uomo stringe i pugni.

L’Uomo del campanello «Ma allora chi ha suonato? Qualcuno dentro?»

Silenzio. Nessuna porta che si apre, nessun passo dall’altra parte.

Il Custode solleva lentamente la lanterna, lasciando che la luce scivoli sulla facciata della casa.

Il Custode «Andiamo. Prima che anche questo momento svanisca.»

L’uomo rimane fermo un istante, il respiro corto. Poi, con un ultimo sguardo alla porta, abbassa la mano e si allontana, seguendo il gruppo. Il pubblico riprende a camminare. Ma ora l’aria sembra più densa, il tempo più fragile. Come se tutto potesse svanire da un momento all’altro.

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Il canto della festa

La strada si fa più quieta, il frastuono della festa è ormai lontano, ridotto a un brusio ovattato. L’aria è più densa, carica di qualcosa di indefinito, come se il silenzio stesso stesse aspettando di essere spezzato. Poi, senza preavviso, una melodia si insinua nell’aria.

È lenta, sospesa, con pause che sembrano aprire varchi nel tempo. Il suono è familiare eppure sfuggente, la canzone della bela burdëla che riaffiora come un’eco, come se fosse sempre stata lì, in attesa di essere ascoltata di nuovo. Non si capisce da dove provenga, se da un angolo della strada, da dietro una finestra socchiusa o da un ricordo troppo lontano per essere afferrato.

Il Custode resta fermo, ascoltando. Il pubblico si guarda intorno.

Dal buio emergono due figure. I loro movimenti sono lievi, quasi inconsapevoli, passi di danza che sfiorano il selciato senza peso, come se stessero ripetendo un ballo imparato molto tempo fa. Non si guardano, non cercano il pubblico. Danza per un’eco che appartiene solo a loro.

Il Custode sorride appena, poi, con voce calma, quasi un sussurro, dice:

Il Custode «La musica non ha bisogno di chiedere permesso. Quando vuole tornare, torna.»

Un attore mescolato nel pubblico si blocca, come colpito da un ricordo improvviso.

Attore Nascosto 4 (con un filo di voce, quasi incredulo) «Io… io mi ricordo di questa canzone.»

Il Custode annuisce appena.

Il Custode «Dove l’hai sentita?»

Attore Nascosto 4 (socchiudendo gli occhi, cercando di afferrare il ricordo) «Era estate. La sentivo nelle sere calde, quando le finestre erano aperte e qualcuno la suonava dentro casa. Ma non so chi fosse…»

Un altro attore nascosto interviene.

Attore Nascosto 1 «Mio padre la canticchiava mentre lavorava in campagna. Diceva che gli ricordava qualcuno, ma non ha mai detto chi.»

Attore Nascosto 3 (con un sorriso nostalgico) «Io la sentivo d’estate, nelle feste. Ballavamo sotto i lampioni, i piedi nudi sulla terra battuta. E lei rideva. Rideva sempre.»

Il Custode li osserva, poi si mette in cammino, senza dire nulla. Il pubblico lo segue, attratto dalla melodia, dalla danza, da quel filo di suono che sembra condurli avanti.

Dopo pochi passi, la strada si apre su un piccolo angolo nascosto, dove la luce dei lampioni si dissolve in ombre più morbide. Fuori da una casa, sotto una finestra chiusa, c’è una sedia. Su di essa, un uomo è seduto. Gli occhi chiusi, la testa che si muove lentamente, appena percettibile, seguendo il ritmo della musica. Non c’è tensione nel suo volto, solo un’espressione sognante, persa in un luogo lontano, invisibile agli altri.

Il Custode si avvicina, il suono dei suoi passi leggero sul selciato. L’uomo si scuote appena, un battito di ciglia, un respiro più profondo, come se qualcosa l’avesse richiamato indietro. Poi, lentamente, apre gli occhi e lo guarda.

L’Uomo sulla sedia (senza distogliere lo sguardo dalla musica, con un tono di sorpresa e nostalgia insieme) «Questa… questa canzone.»

Il Custode (con un sorriso appena accennato) «Non la sentivi da tanto, vero?»

L’uomo scoppia in una risata breve, amara e affettuosa allo stesso tempo.

L’Uomo sulla sedia «Da una vita!» (Ride ancora, poi si ferma, e guarda il Custode con un’espressione più intensa.) «Eppure eccola qui. Come se non se ne fosse mai andata.»

Il Custode inclina la testa, studiandolo.

Il Custode «Forse non se n’è mai andata. Sei tu che non l’hai ascoltata per un po’.»

L’uomo abbassa lo sguardo, riflettendo sulle parole. Poi lo rialza, con un sorriso più triste.

L’Uomo sulla sedia «Una ragazza la cantava sempre. Mora, con la bocca rossa. Rideva per niente.» (Si ferma, sospira.) «Non so nemmeno più dov’è.»

Il Custode lo osserva in silenzio per un momento. Poi, con un tono più basso, quasi confidenziale, dice:

Il Custode «E importa davvero sapere dov’è? Se, ogni volta che senti questa melodia, è di lei che ti ricordi?»

L’uomo resta in silenzio. Qualcuno tra il pubblico trattiene il respiro.

Attore Nascosto 1 (a mezza voce, come parlando a se stesso) «Forse… non è la musica che ci riporta indietro. Forse siamo noi che, ascoltandola, troviamo il modo di tornare.»

Un breve silenzio si allunga tra loro. La melodia continua, sempre più sfumata, come se stesse tornando da dove era venuta. L’uomo seduto si solleva lentamente dalla sedia.

L’Uomo sulla sedia (guardando il Custode con un sorriso consapevole) «Non la dimenticherò più.»

Il Custode annuisce. Poi, con la stessa calma di sempre, solleva la lanterna.

Il Custode osserva il pubblico per un lungo istante. La melodia si è ormai dissolta nell’aria, lasciando dietro di sé solo un’eco sottile, come un filo di vento tra le case. Poi, con un sorriso enigmatico, dice:

Il Custode «Qui il mio cammino si interrompe. Per un po’.»

Guarda il pubblico, poi l’uomo sulla sedia.

Il Custode «Ci sono momenti in cui bisogna lasciare che i passi degli altri vadano avanti senza di noi. Questo è uno di quelli.»

Fa una pausa, si gira verso il sentiero successivo, come se stesse scrutando qualcosa che gli altri non vedono.

Il Custode «Proseguite dritto. Seguite il vicolo che costeggia la piazza. Troverete una porta chiusa. Qualcuno sarà lì ad aspettarvi.» (Si ferma, poi aggiunge con un sorriso appena accennato.) «O forse siete voi che state aspettando lui.»

Abbassa la lanterna.

Il Custode «Ci rivedremo presto. O forse… ci siamo già incontrati.»

Si volta senza fretta e si allontana nella direzione opposta, il passo silenzioso, la figura che si dissolve tra le ombre della città, come se fosse sempre appartenuto a quel confine incerto tra il presente e il ricordo.

L’uomo sulla sedia rimane immobile per un istante, il respiro ancora sospeso nel ritmo della musica che ora sta svanendo. Poi, lentamente, un sorriso affiora sulle sue labbra, lieve, appena accennato, come se dentro di sé avesse ritrovato qualcosa che pensava perduto.

Anche il pubblico si muove di nuovo, seguendo le indicazioni del Custode, il passo che si intreccia al silenzio lasciato dalla melodia. Alcuni camminano assorti, lo sguardo rivolto a un punto indefinito, come se stessero cercando di trattenere l’eco di quel suono. Altri sorridono, un riflesso di nostalgia appena percettibile.

Il viaggio continua.

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Il cerchio si chiude

Il pubblico avanza lungo l’ultimo tratto di strada, ancora immerso nei pensieri. I passi sono più lenti, quasi esitanti, come se il viaggio avesse lasciato un segno, un’ombra appena percettibile dentro ognuno di loro. Poi, senza rendersene conto, si ritrovano esattamente dove tutto è iniziato.

La piazza è la stessa. Il selciato irregolare, le pietre leggermente sollevate dal tempo, il lampione fioco che illumina la panchina di ferro e legno. Sembra immutata, ma qualcosa nell’aria suggerisce che nulla è esattamente come prima.

Sulla panchina, lo stesso uomo della prima stazione. La stessa postura, lo stesso programma della Fira stretto tra le mani, piegato e sgualcito. È come se il tempo non fosse mai trascorso… o forse fosse tornato indietro.

Il pubblico si ferma. Una strana tensione si insinua tra gli spettatori. Poco distanti, alcuni volontari sono fermi, immobili, le mani dietro la schiena, il corpo appena inclinato in avanti. Hanno l’atteggiamento di chi osserva un cantiere, di chi aspetta un evento inevitabile. Sono lì, come umarell di un tempo che si ripete.

L’uomo sulla panchina sfoglia il foglio, lo tiene con una mano mentre con l’altra si aggiusta gli occhiali sul naso. Sta leggendo ad alta voce, ma quasi tra sé e sé, come per verificare qualcosa.

L’Uomo che inciampa (borbottando) «Lunedì sera… spettacolo in piazza… Martedì… Torneo di briscola… Ah, qui! Mercoledì!»

Si interrompe. Inclina la testa, osserva il foglio con un’espressione perplessa. Si gratta la nuca, poi scuote la testa, confuso.

L’Uomo che inciampa (a bassa voce) «No, non può essere giusto.»

Rilegge, controlla meglio, fa scorrere il dito lungo le righe stampate, come se cercasse una conferma che non arriva. Alla fine, sospira, piega il foglio e si alza. Fa un passo… e inciampa.

Il tacco della scarpa si incastra tra due pietre irregolari, la caviglia si piega appena. Lo stesso suono del primo inciampo risuona nell’aria, identico, perfetto. Il programma della Fira gli sfugge dalle dita, scivola leggero e si apre sul selciato, le pagine spiegate dalla brezza sottile della sera. L’uomo si sbilancia.

Un attore nascosto nel pubblico scatta in avanti, le mani pronte a sorreggerlo, il gesto rapido e naturale, ripetuto senza consapevolezza, come se fosse sempre dovuto accadere così.

L’Attore che Soccorre (con lo stesso tono della prima volta, come se fosse una battuta già detta senza rendersene conto) «Tutto bene?»

L’uomo si raddrizza, esattamente come la prima volta. Ma stavolta non si limita a ricomporsi. Si guarda intorno, perplesso. Il suo sguardo incrocia gli spettatori, poi si abbassa sul foglio caduto a terra.

L’Uomo che inciampa (borbottando) «Ma che…?»

Si china e lo raccoglie con un gesto più lento del necessario. Lo apre, lascia che le pagine si distendano tra le mani, scorre le righe con il dito, rileggendo con attenzione. Poi si ferma. Qualcosa non torna.

Si passa una mano tra i capelli, mentre l’attore accanto a lui si aggiusta il colletto con un gesto involontario. Un silenzio sospeso si allunga tra loro. Poi si guardano, confusi.

L’Attore che Soccorre (esitando) «Strano, vero?»

L’Uomo che inciampa (senza alzare lo sguardo dal foglio) «Strano… è dire poco.»

L’Attore che Soccorre (abbassando la voce, quasi imbarazzato) «Ma… è possibile che…?»

L’Uomo che inciampa (lo interrompe, scuotendo la testa) «No. Non può essere.»

Dall’ombra di un vicolo laterale, il Custode emerge in silenzio. La lanterna ora è spenta. Si ferma, osserva l’Uomo che inciampa, il pubblico, il selciato. Sorride, con la calma di chi ha già visto tutto questo accadere molte volte. Poi, con voce chiara e misurata, parla.

Il Custode
«Non siete mai andati via.»

Fa un passo avanti, il tono si fa più vicino, più intimo.

Il Custode
«Avete assaggiato un vino dorato e per un istante eravate di nuovo lì, con chi vi insegnava a gustarlo. Vi siete chiesti se i sapori del passato esistano ancora o se siamo noi a portarli con noi.»

Guarda qualcuno nel pubblico, con un lieve sorriso.

Il Custode
«Avete sfiorato un fiore e le mani di chi ve lo porgeva sono tornate a voi, profumate di ricordi. Vi siete accorti che, a volte, non serve chiudere gli occhi per ritrovare un volto.»

Osserva un volontario che annuisce, assorto.

Il Custode
«Avete seguito una risata, senza sapere dove vi avrebbe portato. E nel rincorrerla, avete scoperto che alcuni suoni non si perdono mai, ma aspettano solo di essere riconosciuti.»

Un volontario si gira leggermente, come se si aspettasse ancora quell’eco lontana.

Il Custode
«Vi siete fermati davanti a un manifesto e avete capito che qualcuno continua a bussare alla memoria, anno dopo anno. Vi siete chiesti se i morti parlino con noi, o se siamo noi a non smettere mai di rispondere.»

Il Nipote della Postina abbassa lo sguardo, in silenzio.

Il Custode
«Avete esitato davanti a una porta, cercando il coraggio di bussare. E quando il campanello ha suonato da solo, vi siete chiesti se fosse il presente a chiamarvi… o il passato.»

Un attore nascosto stringe le mani dietro la schiena, fissando il punto dove si trovava la casa della sesta stazione.

Il Custode
«Avete ascoltato una melodia e per un attimo siete tornati sotto i lampioni, a ballare con chi non c’è più. Avete capito che la musica non riporta indietro il tempo, ma noi stessi dentro di esso.»

Si ferma, lasciando che il silenzio si distenda per un istante. Poi guarda l’Uomo che inciampa, poi il pubblico.

Il Custode
«Il tempo non è un cammino dritto. È un cerchio, un’eco che ritorna, un’ombra che si allunga dietro di noi.»

La sua voce si fa più bassa, più morbida.

Il Custode
«Ogni volta che vi fermerete a ricordare, ogni volta che un suono, un odore o un inciampo vi riporteranno qui… il viaggio ricomincerà.»

L’uomo abbassa lentamente il foglio, lo sguardo ancora perso tra le righe, come se cercasse di trattenere qualcosa che sta già sfuggendo. Poi, senza dire nulla, lo piega con cura e lo infila nella tasca della giacca.

Sopra la panchina, il lampione emette un lieve sfarfallio, un tremolio sottile che dura solo un battito di ciglia prima di stabilizzarsi. Il Custode lo nota, inclina appena il capo e sorride.

Il Custode (con un leggero cenno del capo)
«Ora il tempo ha ricominciato a scorrere.»

I due uomini si scambiano un’occhiata, incerti per un istante. Poi uno di loro sospira, si sistema il colletto della giacca con un gesto distratto e si volta, allontanandosi senza dire nulla. L’altro scrolla le spalle, accenna un sorriso ironico e lo segue. Uno dopo l’altro, anche gli altri attori si muovono, dissolvendosi tra la folla, riprendendo le loro vite come se nulla fosse mai accaduto.

Il Custode rimane fermo, osserva il pubblico per qualche secondo in più. Poi si volta e scompare nel vicolo, lasciando dietro di sé solo il lieve cigolio dell’insegna metallica che ondeggia nel vento.

La piazza rimane immobile. Poi, lentamente, il pubblico riprende a camminare, forse con la sensazione che, un giorno, torneranno di nuovo qui.

O forse con il sospetto che, in fondo, non se ne siano mai andati davvero.

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Struttura del cast

  • Attori professionisti: 10
  • Attori nascosti (volontari con battute e interazioni dirette): 4
  • Partecipanti evocativi (volontari senza battute, che rafforzano l’atmosfera): 14-16

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Attori professionisti (ruoli principali)

  1. Il Custode – Presente in tutte le stazioni, accompagna il pubblico nel viaggio della memoria e, alla settima stazione, scompare.
  2. L’Uomo che Inciampa – Presente nella Stazione 1 e nella Stazione 8. Il suo inciampo segna l’inizio e la fine del percorso.
  3. L’Attore che Soccorre – Presente nella Stazione 1 e nella Stazione 8. Aiuta l’Uomo che Inciampa in entrambi i momenti, ripetendo lo stesso gesto e frase.
  4. La Cameriera – Presente nella Stazione 2. Porta Albana Passito e scroccadenti, innescando il primo ricordo attraverso il gusto.
  5. L’Uomo Seduto al Tavolino – Presente nella Stazione 2. Assaggia il vino e rievoca un ricordo legato al sapore.
  6. La Donna Seduta al Tavolino – Presente nella Stazione 2. Assaggia lo scroccadente e collega il sapore a un momento dell’infanzia.
  7. La Fioraia per un Giorno – Presente nella Stazione 3. Assume per una giornata il ruolo della nonna, storica fioraia del paese, evocando memorie attraverso i fiori.
  8. Il Nipote della Postina – Presente nella Stazione 5. Ogni anno trova lo stesso manifesto funebre affisso e racconta le storie della postina.
  9. L’Uomo del Campanello – Presente nella Stazione 6. Bloccato davanti a una porta chiusa, incapace di ricordare chi sta cercando, finché il campanello suona da solo.
  10. L’Uomo sulla Sedia – Presente nella Stazione 7. Rapito dalla musica della bela burdëla, riconosce la canzone e si perde in un ricordo lontano.

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Attori nascosti (volontari con battute e interazioni dirette)

  • Attore Nascosto 1 (Presentazione, Stazioni 4, 5, 7)
    • Durante la Presentazione del Custode, chiede chi sia il Custode e perché dovrebbero seguirlo.
    • Stazione 4: Afferma di aver già sentito la risata, senza ricordare quando.
    • Stazione 5: Non ha dimenticato la postina, aggiungendo dettagli personali sul suo carattere e sulle lettere consegnate.
    • Stazione 7: Dice che il padre cantava la canzone, ma non ricorda più le parole esatte.
  • Attore Nascosto 2 (Stazioni 1, 3, 5, 6)
    • Stazione 1: Esprime la sensazione di déjà vu all’inizio del percorso, come se tutto fosse già accaduto.
    • Stazione 3: Ricorda la nonna fioraia e le sue mani profumate di fiori, collegando il gesto di toccare i petali a un momento passato.
    • Stazione 5: Dice che la postina gli ha consegnato la cartolina di leva, ricordando il tono scherzoso con cui lo ha fatto.
    • Stazione 6: Ricorda la porta e racconta di averla vista ogni giorno, senza mai sapere cosa ci fosse dietro.
  • Attore Nascosto 3 (Stazioni 2, 3, 4, 6, 7)
    • Stazione 2: Riconosce l’effetto dell’Albana Passito sui ricordi, rievocando un momento in cui il gusto del vino ha risvegliato un ricordo improvviso.
    • Stazione 3: Racconta di quando la fioraia gli regalava sempre un fiore portafortuna, come un rituale annuale.
    • Stazione 4: Dice che “quando” e “se” sono la stessa cosa, sottolineando come il tempo non segua una linea retta.
    • Stazione 6: Passava sempre di fronte a quella porta e, un giorno, ha quasi suonato il campanello, ma ha esitato.
    • Stazione 7: Dice che la musica non riporta indietro il passato, ma riporta noi stessi in quel passato.
  • Attore Nascosto 4 (Stazioni 2, 3, 5, 7)
    • Stazione 2: Ricorda il nonno e il modo in cui gli raccontava storie davanti a un bicchiere di vino.
    • Stazione 3: Il suo fiore era la margherita, e la fioraia gli diceva sempre che portava speranza.
    • Stazione 5: Riceve la notizia della morte dello zio dalla postina, raccontando come la sua risata abbia reso il momento meno doloroso.
    • Stazione 7: Ricorda la canzone e dice di averla sentita spesso nelle sere d’estate, quando le finestre erano aperte.
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Partecipanti evocativi (volontari senza battute, che rafforzano l’atmosfera)

I cittadini coinvolti avranno ruoli diversi nelle varie stazioni. Alcuni di loro saranno attori nascosti nel pubblico, pronti a intervenire con battute o reazioni spontanee. Altri parteciperanno come presenze evocative, rafforzando l’atmosfera della scena con azioni semplici ma significative.

Per ogni stazione, saranno integrati nel flusso narrativo in maniera organica, permettendo loro di vivere l’esperienza teatrale senza pressioni.

  1. Osservatori nella Presentazione del Custode – Alcuni volontari tra il pubblico reagiscono alle parole del Custode, con cenni di assenso o di perplessità.
  2. Testimoni silenziosi dell’inciampo (Stazione 1 e 8) – Presenti sia all’inizio che alla fine, con postura da umarell, osservano la scena come se sapessero cosa sta per accadere.
  3. Clienti del bar (Stazione 2) – Siedono ai tavolini, bevono lentamente o spezzano uno scroccadente, immersi nei loro pensieri.
  4. Passante indeciso (Stazione 2) – Si avvicina alla cameriera con i bicchierini, sembra voler partecipare ma poi si allontana.
  5. Acquirenti del carrettino (Stazione 3) – Sfiorano i fiori senza comprarli, come se scegliessero un ricordo più che un oggetto.
  6. Vecchio cliente della Fioraia (Stazione 3) – Annusa un fiore con lentezza, poi lo rimette a posto e si allontana in silenzio.
  7. Persone che si voltano al suono della risata (Stazione 4) – Si fermano e si voltano nella direzione della risata, come se l’avessero già sentita.
  8. Testimoni del manifesto funebre (Stazione 5) – Osservano la scena senza parlare, come se fossero lì ogni anno.
  9. Figura con lettera in mano (Stazione 5) – Un volontario tiene una busta chiusa e la osserva a lungo senza mai aprirla.
  10. Danzatori evocativi (Stazione 7) – Due volontari eseguono pochi passi di danza lenta e sognante, come un’eco di una festa passata.

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